La meritocrazia, termine talvolta abusato in ambito lavorativo e non solo, è stata oggetto dell’intervento di Daniel Markovits, professore di Diritto privato presso la Law School di Yale, in occasione dell’annuale conferenza del “Common Care of European Private Law”, tenutasi a Torino. Ne dà notizia il quotidiano “La Stampa”, che ha intervistato l’esperto classe 1969 proprio su questa dibattuta tematica, definita come una trappola dal diretto interessato: “La meritocrazia rifà la vita come una competizione senza fine, che assicura i ricchi ed esclude gli altri, incoraggiando lo sviluppo del capitalismo umano, il regime economico in cui la formazione e le competenze dei lavoratori sono la più grande fonte di ricchezza della società”.
Secondo Markovits, questo sviluppo induce le élite a investire nelle scuole per i propri figli, in modo che l’istruzione si concentri nelle famiglie benestanti. Allo stesso tempo, ristruttura il lavoro, piegando l’innovazione tecnologica per favorire quelle professionalità che solo l’istruzione d’élite fornisce. Queste trasformazioni, tuttavia, precludono alla maggior parte delle persone, poveri e classe media, un accesso significativo ai vantaggi sociali ed economici.
MARKOVITS: “MERITOCRAZIA, UNA TRAPPOLA PER I POVERI”
Quando si parla di meritocrazia, secondo il professor Markovits, è giusto definirla una “trappola per poveri”, ma non solo: come ha egli stesso illustrato sulle colonne de “La Stampa”, le fasce più abbienti della società che ne beneficiano devono in realtà dedicare la loro vita e quella dei loro figli a una scuola e a un lavoro alienanti. Negli Stati Uniti d’America, con particolare riferimento agli ambienti universitari, la sensazione è che gli studiosi e gli studenti si siano avvicinati all’idea che la meritocrazia sia “la causa dell’ingiusta gerarchia, più che la soluzione. I vertici delle università d’élite rimangono più scettici. Le università si trovano di fronte a una dura scelta tra uguaglianza ed elitarismo. Io sostengo che dovrebbero scegliere l’uguaglianza, ma farlo richiederebbe l’abbandono del modello di business dell’educazione d’élite americana”. In tal senso, la vittoria elettorale di Joe Biden potrebbe rappresentare un’autentica svolta, ma ogni verdetto è ancora prematuro, spiega Markovits, per due ragioni: il partito repubblicano osteggia la democrazia e, nel contempo, l’amministrazione a stelle e strisce sta incrementando la spesa sociale al fine di smantellare le disuguaglianze che si percepiscono e che connotano la vita dall’altra parte dell’Atlantico.