Germania e Francia avrebbero raggiunto un accordo in vista dell’eurogruppo di martedì, a due settimane dal nulla di fatto del 26 marzo. L’intesa tra Berlino e Parigi, secondo quanto riportato dall’Agi, prevede la possibilità per gli Stati di ricorrere al Mes per un importo pari al 2% del Pil e l’intervento della Banca europea degli investimenti (Bei) per garantire fino all’80% dei prestiti a breve termine delle banche.
La recessione accelera e gli Stati più forti vogliono trovare soluzioni in fretta. Conte e Gualtieri continuano a difendere la tesi di un Mes senza condizionalità e a chiedere, insieme alla Spagna, i coronabond come strada maestra per fronteggiare lo stop dell’economia.
“Si stanno prendendo decisioni in gran fretta, ma per noi sono tutte strade piuttosto rischiose” dice Giuseppe Di Gaspare, ordinario di diritto dell’economia nella Luiss di Roma. Le soluzioni ci sono, dice il giurista, ma vanno cercate altrove.
Perché strade rischiose, professore?
Siamo davanti ad accordi che presuppongono deroghe al Trattato europeo (TFUE). Le deroghe che si vorrebbero introdurre nella sostanza sono tre.
Vediamole.
La flessibilizzazione del patto di stabilità e quindi l’autorizzazione agli Stati membri a spendere oltre il limite del deficit del 3% per l’emergenza sanitaria, la sospensione del divieto di aiuti di Stato ed infine il Mes, che ha anch’esso un fondamento nel TFUE. Ora, come ha appena ricordato Alessandro Mangia, la sospensione delle norme del Trattato può essere deliberata solo in base all’articolo 122.
E questo che cosa comporta?
L’art. 122 prevede che tali decisioni in situazione emergenza anche economica siano assunte dal Consiglio e dalla Commissione con procedura rapida. Per quanto riguarda la sospensione del Patto di stabilità e gli aiuti di Stato, la Von der Leyen ne parla come di cosa fatta, ma non si sa dove e quando decisa: c’è stata una decisione formale? Se così fosse, direi che non ce ne siamo accorti.
Dove si anniderebbe il pericolo per noi?
Il rischio maggiore è costituito dalla mano libera lasciata agli aiuti di Stato, perché gli Stati potrebbero aiutare le imprese nazionali falsificando il funzionamento della concorrenza nel mercato interno. Vuol dire che al termine della fiera chi avrà avuto più cartucce da sparare per sostenere la propria economia si troverà in posizione dominante.
Con quali conseguenze per gli altri?
Le imprese concorrenti degli altri Stati, non potendo usufruire di aiuti comparabili, finiranno per essere emarginate dal mercato. L’aiuto di Stato crea un indebito vantaggio competitivo a favore delle imprese che possono contare su aiuti più consistenti.
Possiamo dire che la Germania ne sarebbe avvantaggiata?
Sicuramente. Il Governo della Merkel ha già previsto, dando come approvata la sospensione del norme del Trattato, il lancio di un programma a favore delle imprese tedesche per circa 500 mld di euro, più altri interventi tramite il sistema bancario. Una potenza di fuoco senza paragoni.
E la flessibilità al Patto di stabilità?
Ci consente di fare quello che inevitabilmente avremmo dovuto fare, l’Italia come altri Stati. Ma il riconoscimento della flessibilità mette in ombra la mutualizzazione, anche parziale, dei costi per fare fronte all’epidemia.
La terza deroga sembra riguardare il Meccanismo europeo di stabilità. Si parla di Mes senza condizionalità.
Sì, in questo caso, per quello che è dato capire, verrebbe meno l’aggancio con un piano obbligatorio di rientro del debito, almeno a breve, e non ci sarebbe la supervisione della troika. Ma il Mes rimane nella sostanza una società di capitali con il cui board comunque bisognerà negoziare i prestiti. Sicuramente condizioni molto meno onerose di quelle che potremmo trovare oggi sul mercato del debito pubblico. In ogni caso, va ricordato che Germania e Francia sono gli “azionisti di maggioranza” del Mes e assommerebbero a questo ruolo anche quello, tutto politico, di Stati egemoni.
E la solidarietà tra Stati?
Basta leggere in filigrana la lettera della von der Leyen sull’Avvenire di oggi (ieri, ndr), a proposito di un piano cosiddetto Marshall, per vedere come la solidarietà si riduca a gesti autonomi di generosità da parte degli altri partners. Il miliardo di euro dell’Olanda, ad esempio, o qualche donazione di materiali sanitari. Insomma, anche il principio della “coesione economica e sociale”, altro pilastro del Trattato dell’Unione, sembra destinato a dissolversi.
A che cosa siamo di fronte?
Ad una fase politica estremamente preoccupante e delicata. D’improvviso siamo precipitati in un contesto del “rompete le righe”, del “si salvi chi può” e dell’“ognuno per sé”, eccetera.
Ci spieghi bene questo punto.
Ogni paese può, in deroga al Patto, aumentare la spesa pubblica finalizzandola all’emergenza sanitaria. Ma i debiti vanno ripagati. Ed il debito non a tutti costa allo stesso modo. Limitiamoci per ora a considerare questa novità in combinazione con la deroga alla normativa sugli aiuti di Stato.
Che cosa succederebbe?
Ogni paese aiuterà il proprio sistema economico e industriale in ragione della propria capacità finanziaria. La Germania ha un surplus finanziario, derivante da quello commerciale, enorme, e ha violato peraltro costantemente la regola comunitaria del contenimento del surplus entro il limite del 5%. Oltre il surplus la Germania ha la possibilità di emettere debito a costo zero. Vuol dire l’egemonia economica e politica della Germania su tutto il continente con un sud Europa piuttosto malmesso.
Che cosa dovrebbe fare l’Italia?
Innanzitutto, non commettere errori. Invece ci stiamo illudendo, grazie alla deroga sugli aiuti di Stato, di lanciare fondi nazionali basati sulla Cdp o altri istituti. Vedo all’orizzonte le solite modalità deresponsabilizzanti. Si parla di una garanzia dello Stato alle banche al 100% dei prestiti erogati. Nella pratica vuol dire procedure affrettate ed opache, moral hazard senza alcuna compartecipazione al rischio da parte delle banche. Forse sarebbe stato meglio al 90% come inizialmente prospettato. Ma soprattutto vedo effetti disastrosi sul nostro debito pubblico.
I coronabond?
Su questo ha ragione la von der Leyen: sono solo uno slogan. Non abbiamo mai formulato una proposta strutturata. Né conosciamo l’entità, l’emittente, le garanzie. Ma anche la von der Leyen risponde per slogan, come quello del piano Marshall europeo. I 2.770 mld “messi in campo” non sono fondi Ue, ma dei singoli paesi Ue. Di veramente europeo resta poco o nulla.
Eppure un’iniziativa dobbiamo prenderla. Da dove cominciare?
Dobbiamo opporre il nostro no più risoluto alla sospensione del divieto di aiuti di Stato. Dobbiamo esigere di conoscere tutte le condizioni di operatività del Mes, qualora venisse sganciato dal Trattato prima di pronunciarci. E poi dobbiamo spostare il confronto su un piano completamente diverso che potrebbe però andare bene a tutti.
Quale?
Quello del ruolo della Bce e dei suoi finanziamenti. Sarebbe un deciso cambio di prospettiva.
Come si giustifica?
Gli strumenti di cui si sta parlando ossessivamente in questi giorni, dal Mes agli eurobond, suonano tutti la tastiera del debito. Occorre cambiare tastiera: abbandonare il debito per i trasferimenti.
Con quali vantaggi?
Non gravano sul bilancio dello Stato e non incidono negativamente sul rapporto debito/Pil, penalizzando il costo del debito e il rating.
La strada è politicamente praticabile?
Sì, perché il sistema decisionale è più coeso nel board e nel consiglio la composizione del sistema di voto è molto simile a quello della Fed e bilanciata in modo da favorire i paesi più importanti. Se questi si mettono d’accordo, gli altri seguono.
Come si fa ad avere i soldi direttamente dalla Bce?
Si deve utilizzare il canale del credito interbancario, rimanendo così all’interno dell’attuale mandato statutario, ma utilizzando operazioni non convenzionali di acquisto o di alleggerimento di titoli di agenzia.
Tali operazioni non convenzionali sono mai state utilizzate?
Sono state impiegate, oltre che per i titoli di Stato, per sollevare le banche dai titoli tossici che avevano a bilancio, vedi Commerz e Deutschebank.
Ovvero tanta liquidità e intervento massiccio nel mercato dei bond degli Stati. Finora la Bce ha fatto solo questo. Lei cosa propone?
Occorre usare il canale interbancario condizionando le banche in modo che esse finanzino l’economia reale e la ripresa. Il primo strumento è la cartolarizzazione dei titoli per prestiti in sofferenza (Npl). La Bce li ritira e corrisponde alle banche un importo in base al rating più o meno elevato di tali titoli cartolarizzati. Così si dà liquidità a tutte le banche, che hanno prestiti in sofferenza, vincolandole al trasferimento alle Pmi e all’economia reale. Dettagli tecnici operativi da puntualizzare.
Un’altra soluzione?
Un altro strumento, più rapido e a impatto positivo anche sulla stabilità finanziaria degli Stati, potrebbe essere costituito dall’apertura di un canale di credito con le banche che “scontino”, con liquidità messa a disposizione dalla Bce, titoli cartolarizzati di imposta, cioè il debito verso il fisco delle imprese nei settori in crisi. Con questa liquidità le banche nazionali si surrogherebbero nel pagamento delle tasse alle imprese e dai lavoratori autonomi.
L’effetto di queste misure?
Sarebbe quello di consentire alle imprese di conservare la liquidità per rimanere a galla vincolandole però, per usufruirne, al mantenimento dei rapporti di lavoro in essere, sia con lavoratori dipendenti sia con gli autonomi. Il riconoscimento degli esoneri sarebbe automatico, non discriminatorio e sottratto a logiche clientelari. La funzione di sostituto di imposta svolta dalle banche avrebbe al contempo l’effetto – non secondario – di assicurare la permanenza del gettito fiscale in modo da fare fronte all’incremento della spesa pubblica per l’emergenza sanitaria, Cig e voucher, mitigando la crescita del deficit.
A chi spetta l’iniziativa e perché finora non è stata assunta?
In una recente intervista (Corriere della Sera, 15 marzo) il rappresentante italiano nel comitato esecutivo della Bce ha indicato la cifra di 3.000 mld di euro per sostenere imprese e famiglie con tassi bassi addirittura negativi. “Ci aspettiamo – ha affermato – che queste misure aiutino i settori più colpiti dalla crisi, in particolare le piccole e medie imprese, che svolgono un ruolo chiave nel sistema produttivo italiano”. La proposta degli strumenti non convenzionali appena accennata dovrebbe fa leva su questa disponibilità, indicando una strada propulsiva.
Ci dica perché una simile proposta di affrontare la crisi via strumentazione Bce dovrebbe essere accolta anche dagli altri Stati.
Perché non ci sono contro-interessati. Non ci sarebbe motivo per dire no: invece di dividersi sulla mutualizzazione del debito tra chi non vuole pagare per gli altri e chi ne ha un bisogno disperato, nessuno ci metterebbe del proprio. La Bce, come la Fed, interverrebbe con misure di effetto keynesiano, ma non di finanziamento al consumo bensì di produzione di reddito. Un intervento di durata ripartito tra tutti, secondo la partecipazione dei vari Stati al capitale della Bce, e temporalmente limitata alla ripartenza dell’economia dell’eurozona.
Una battuta di scenario, in conclusione.
Parafrasando Giulio Sapelli, abbandonare il paradigma, calvinista e divisivo, “debito uguale colpa”, e passare a quello, solidale e inclusivo, “credito uguale fiducia”.
Cosa invece fa fatto subito?
Bisogna contrastare la deriva del debito pubblico nazionale, ponendo il veto, nel Consiglio Ue e in Commissione, all’abolizione del divieto di aiuti di Stato.
(Federico Ferraù)