L’accesso dell’Italia allo sportello sanitario del Meccanismo europeo di stabilità (Mes) comporta un risparmio di 5 miliardi nell’arco di dieci anni (come stimato dall’Osservatorio dei Conti Pubblici dell’Università Cattolica diretto di Carlo Cottarelli) ovvero, secondo una procedura leggermente diversa, di 600-700 milioni l’anno (come stimato da Carlo Stagnaro e Luca Fava dell’Istituto Bruno Leoni). Se avessimo fatto ricorso al Mes sanitario la scorsa primavera, avremmo potuto potenziare la sanità ospedaliera e rafforzarla con la sanità militare già questa estate; saremmo stati meglio pronti all’ondata autunnale della pandemia, che ora sta decimando centinaia di italiani e ne sta buttando sul lastrico milioni. Una responsabilità etica prima ancora che politica per chi ha il compito di governare il Paese.



C’è da augurarsi che dopo gli “Stati generali” del Movimento 5 Stelle – evento che nessuno comprende perché blocchi le lancette dell’orologio all’Italia che lavora e che produce e soprattutto che è poco interessata a una forza politica litigiosa, inesperta e sul viale del tramonto – il Governo si decida a chiedere il supporto del Mes sanitario. Tanto più che il Resilience and Recovery Fund (RRF) avrà tempi lunghi poiché anche se si raggiunge un accordo nel triangolo delle Bermuda (Commissione europea, Parlamento europeo, Consiglio europeo), sarà necessaria la ratifica di 27 Parlamenti per dare nuova capacità impositiva alla Commissione.



Il Mes sanitario non pone altra condizione che il finanziamento di spese sanitarie (anche di parte corrente come il supporto di borse di studio per studenti e specializzandi in medicina o per contratti a termine, in attesa che vengano ampliati i ruoli, per medici, infermieri e personale in generale). Buon senso vorrebbe che il ministero della Salute presentasse un programma concordato con le Regioni e le Province autonome. È abbastanza semplice elaborare la parte ospedaliera di tale programma: gran parte degli ospedali italiani risalgono a una quarantina di anni fa (anche gli ospedali “storici” sono stati rimodernati decine di anni or sono) e, quindi, unicamente la messa a norma e la dotazioni di apparecchiature dell’ultim’ora assorbirà parte importante del Mes sanitario.



Più elaborato utilizzare il Mes sanitario per la medicina sul territorio, i medici di base o di famiglia e lo loro aggregazioni o associazioni come le Usca (Unità sanitarie di continuità assistenziale) che si sono sviluppate in alcune parti d’Italia e non in altre (e che consentono a raggruppamenti di medici di disporre di un segretaria o di un’infermiera e di operare su un lungo arco di ore). La pandemia ha dimostrato che questo è il livello essenziale per individuare le malattie, prestare le prime cure e non intasare pronti soccorso e ospedali con pazienti che possono essere curati a casa propria. La mia esperienza personale di economista con la valigia che quando era più giovane girava il mondo è che queste associazioni erano molto efficaci nel Regno Unito e soprattutto in numerosi Länder della Repubblica Federale Tedesca.

In Italia la situazione è perlomeno confusa. Accanto a “dottori” di grande valore ci sono situazioni che ricordano Il Medico della Mutua, il film del 1968 diretto da Luigi Zampa con un eccezionale Alberto Sordi, dieci anni prima della creazione del Servizio sanitario nazionale. La normativa prescrive che il medico di medicina generale garantisce l’assistenza sanitaria indistintamente a tutti i pazienti a lui iscritti. Si assicura di promuovere e salvaguardare la salute in un rapporto di reciproca fiducia e rispetto. Sceglie le forme di assistenza più adeguate anche attraverso l’associazionismo medico. Ha il dovere di tutelare da un lato la salute complessiva dei propri assistiti utilizzando le risorse con rigore scientifico e senza sprechi. Obiettivi ambiziosi. Difficili da raggiungere con il sistema vigente in cui i medici sono liberi professionisti “convenzionati”.

In particolare, attualmente la medicina sul territorio è costituita principalmente da medici di medicina generale (detti anche di base o di famiglia) “convenzionati” con un rapporto professionale con il pertinente ramo del Ssn (di solito una Ulss o una Asl). Il rapporto prevede 18 ore settimanali di prestazioni. Ne possono certamente fare molte di più. Sono retribuiti con un compenso “capitario” (il numero dei cittadini/ potenziali pazienti) iscritti – come nel film di Zampa – e con un pagamento che varia dalla prestazione (visita, vaccinazione, ecc.) secondo un tariffario. Stime da parte di sindacati del settore affermano che un medico di base o di famiglia che si dedica interamente alla sua attività “convenzionata” può avere ricavi mensili (al lordo delle tasse) di 10.000 euro. Forme associative permettono di ridurre i costi a carico di ciascun medico e di ampliare i servizi. In breve, di estendere sul territorio una rete di ambulatori.

Sarebbe certamente auspicabile stabilire un rapporto differente con il Ssn: ossia di dipendenza con retribuzione variabile a seconda delle ore che ci si impegna a prestare. Ciò faciliterebbe lo sviluppo non su base puramente volontaristica di medicina “in gruppo” oppure di medicina “in rete” per garantire al cittadino un servizio migliore e offrirgli la possibilità di rivolgersi a uno degli altri medici associati in caso di urgenza e in caso di assenza del proprio medico. Soprattutto per le prestazioni non rimandabili al giorno successivo (anche se solamente si ha bisogno urgentemente di un certificato o della prescrizione di un farmaco) e nel rispetto degli orari e delle modalità organizzative dei singoli studi.

Il programma potrebbe essere attuato gradualmente in linea con la durata della realizzazione delle attività finanziate con lo sportello sanitario del Mes, mettendo in atto anche la necessaria concertazione con la categoria. Il Mes sanitario non potrà avere effetti significativi sull’offerta di personale a tutti i livelli, ma il programma potrebbe, o meglio, dovrebbe agganciarsi con le riforme del RRF eliminando strozzature all’accesso alle Facoltà di Medicina.