MEF, L’ITALIA PRENDE TEMPO: LA LINEA GIORGETTI SULLA RATIFICA DEL TRATTATO

Il fondo salva-Stati, noto come MES (Meccanismo Europeo di Stabilità), non vedrà per il momento la ratifica della riforma europea da parte dell’Italia: dopo tre anni dalle fortissime polemiche nell’allora Governo Conte-2, il tema di scontro politico questa volta non è più sul testo definitivo della riforma (già siglata dal Premier Conte nel gennaio 2021) bensì sulla ratifica del Trattato che spetta al Parlamento. 17 Paesi su 19 della zona Euro si sono già espressi votando la ratifica, restano per il momento fuori Italia e Germania: con 164 voti a favore e 138 contrari, ieri la Camera ha approvato la mozione del Governo Meloni impegnandolo a «non approvare il disegno di legge di ratifica alla luce dello stato dell’arte della procedura di ratifica in altri Stati membri e della relativa incidenza sull’evoluzione del quadro regolatorio europeo».



È la cosiddetta “linea Giorgetti” che sul Mes si era già espresso durante il suo recente viaggio istituzionale a Berlino: «sì alla riforma del Meccanismo europeo di stabilità (Mes), mi attesto sulle posizioni del precedente governo di cui facevo parte […] Aspettiamo la decisione della Corte Costituzionale tedesca», spiegava giorni fa il Ministro dell’Economia. Il Governo italiano attende di capire cosa succederà in Germania con l’attesa sentenza della Corte Costituzionale tedesca a cui hanno fatto ricorso i liberali di FdP al Governo: Giorgetti aspetta dunque di capire cosa deciderà Berlino sulla vicenda tanto delicata quanto spionosa del fondo salva-Stati. Il problema è se la Corte tedesca dovesse dare il via libera a questo tipo di riforma del Mes: a quel punto infatti il Governo Meloni si ritroverebbe diverse posizioni al suo interno che vertono sostanzialmente tra Forza Italia da un lato (con il Ministro Giorgetti, sul tema assai più intenzionato di Salvini ad accettare il nuovo Trattato) e Lega-FdI dall’altro.



SCONTRO GOVERNO-OPPOSIZIONI SUL MES: COSA SUCCEDE ORA

«È emerso un orientamento chiaro della maggioranza», ha spiegato la sottosegretaria all’Economia Lucia Albano (FdI) dopo la votazione di ieri sulla non ratifica per il momento della riforma del Mes: «contrarietà che non nasce da motivazioni ideologiche, come molti sostengono, ma perché riteniamo che le condizioni di accesso all’assistenza finanziaria siano eccessivamente stringenti. L’organizzazione intergovernativa e le sue regole – conclude Albano – devono essere oggetto di una riflessione comune, anche in considerazione delle mutate condizioni del quadro macroeconomico europeo». Il Mes, lo ricordiamo, è un organismo nato nel 2012 con la funzione di prestare assistenza agli Stati in difficoltà finanziaria: a partire dal 2017 è scattato il meccanismo di riforma per rivedere il trattato istitutivo. Il 27 gennaio 2021 tutti i 19 Paesi dell’area Euro hanno firmato (Italia compresa) ma lasciando poi ai singoli Parlamenti l’onere di approvare la ratifica di quella firma. Ad oggi l’Italia è il terzo contributore europeo: se infatti il Mes ha un capitale sottoscritto pari a 704,78 miliardi, il 17,75% è garantito dall’Italia (circa 125 miliardi) che ha versato fino ad ora 14,2 miliardi.



Con FdI anche la Lega nutre più di un dubbio circa questa ratifica del Mes: «Le regole del nuovo trattato del Mes non ci convincevano prima e non lo fanno nemmeno adesso», ha spiegato il capogruppo alla Camera Riccardo Molinari, «Siamo in un momento in cui si deve ridiscutere il patto di stabilità in Europa, e il nuovo Mes rischia di essere già superato». Pd e Terzo Polo sono univoche uniti su questo, con Renzi che mette subito alla “prova” l’avvicinamento avuto sulla Manovra tra la Premier Meloni e l’alleato centrista Carlo Calenda. «Lo diremo forte e chiaro a Giorgia Meloni: è più importante piantare bandierine antieuropeiste o proteggere i più fragili?», spiega il leader di Italia Viva al QN. «Continuare a puntare il dito contro le istituzioni comunitarie, indicandole come causa di tutti i mali equivale a confondere causa ed effetto, come spesso fa la maggioranza», è invece l’attacco al Governo che arriva da Piero Fassino del Pd. Resta ora da capire cosa emergerà dalla Corte di Karlsruhe per capire a quel punto il Governo Meloni quale direzione prenderà: rivedere le proprie posizioni iniziai oppure sostenere, assieme a Berlino, la necessità di rivedere una riforma che potrebbe mutare del tutto con i prossimi cambiamenti previsti in Europa dopo le emergenze Covid, guerra ed energia.