Dopo la decisione della Corte costituzionale tedesca, è rimasta l’Italia a difendere la propria diffidenza verso il Meccanismo europeo di stabilità (Mes) o Fondo salva-Stati. Rimangono per il no la Lega e una parte di Forza Italia. Anche la Meloni era ed è contraria: il 30 novembre scorso la Camera ha approvato una mozione che impegna il Governo a non approvare il Ddl di ratifica del Mes, in attesa che si pronunciassero le toghe rosse di Karlsruhe.



Da qualche tempo, però, qualcuno maliziosamente sussurra che la presidente del Consiglio sia aperta ad ogni soluzione, per non “rimanere soli” in Europa. Che sia vero o che sia soltanto una forma di pressione politica da parte dei fautori del Mes, Pd e Renzi-Calenda in primis, il Mes rimane obsoleto e sconveniente, secondo Alessandro Mangia, ordinario di diritto costituzionale alla Cattolica di Milano. Sconveniente per via dei rischi connessi alle sue condizionalità, che prevedono la ristrutturazione del debito pubblico degli Stati in grave crisi, a fronte degli importi limitati che metterebbe a disposizione.



Professore, che cosa possiamo dire della decisione della Corte costituzionale tedesca sul Mes?

È una decisione che non ha cambiato niente rispetto a quanto era già stato detto nel 2012. Semplicemente la Corte ha stabilito che i parlamentari ricorrenti non erano legittimati ad impugnare la delibera di autorizzazione alla ratifica del Bundestag.

Per quale ragione?

Perché, secondo la Corte, non era in gioco una questione di trasferimenti di poteri sovrani che, ai sensi dell’art. 23 della Cost. federale tedesca, avrebbe richiesto la maggioranza qualificata dei due terzi, anziché la maggioranza semplice, come è stato. Mancando il vizio procedurale, non ci sarebbe stata lesione delle prerogative dei singoli parlamentari. Da qui l’inammissibilità del ricorso.



È cambiato qualcosa nel Meccanismo europeo di stabilità rispetto al 2020? 

Nel Trattato Mes, fino ad oggi, non è cambiato niente. Avvicendamenti a parte (il direttore generale non è più Klaus Regling ma Pierre Gramegna, nda), il Mes è lo stesso di due anni fa.

Veniamo invece alla riforma del Trattato istitutivo. Cosa riguardano le possibili modifiche di cui si discute?

Riguardano l’attitudine del Mes ad operare come supporto al Fondo di risoluzione unico in caso di crisi di una banca nazionale; la facilitazione delle operazioni di ristrutturazione dei debiti pubblici con il passaggio al voto a maggioranza unica (le cosiddette clausole single limb Cacs); le condizioni per l’attivazione delle linee di credito precauzionali (Pccl); il monitoraggio, in teoria ad uso interno, della situazione di finanza pubblica dei singoli Stati, indipendentemente dalle richieste di sostegno; e da ultimo, la cooperazione tra Mes e Commissione nei programmi di assistenza finanziaria. Non si tratta di modifiche da poco.

Il Mes si colloca in un’anomala zona ibrida tra diritto bancario, diritto costituzionale, diritto europeo. Sotto il profilo della comunicazione politica, tale ambiguità è stata, fino ad oggi, il suo punto di forza, nonostante la debole capacità di prestito. Il Mes serve ancora?

Il Mes è stato pensato più di dieci anni fa, ai tempi della crisi greca, per aiutare gli Stati che non avessero avuto accesso ai mercati: e cioè Stati il cui debito nessuno avesse voluto finanziare. Ed è stato pensato, in seconda battuta, per ricapitalizzare banche in crisi, visto che le due cose si tengono e che la Bce, almeno a parole, non potrebbe essere “banca delle banche”. Per questo è nato il Mes: per aggirare i trattati europei o, a seconda dei punti di vista, per renderli “meno stupidi”. Tant’è vero che il Mes è nato per fare ciò che la Bce, trattati alla mano, non avrebbe potuto fare. E la riforma del Mes della cui ratifica si discute ora non è stata pensata per il finanziamento degli Stati, quanto per la gestione delle crisi bancarie, nel senso che il Mes dovrebbe operare come ulteriore livello di protezione dopo il bail-in di una banca fallita, e a supporto del Fondo di risoluzione unico. Che è un problema di Unione bancaria.

Dunque, da questo punto di vista, la riforma del Mes…

È un vagone che si è aggiunto al treno dell’Unione bancaria. Ma la cosa con il tempo si è fatta più complessa: veda la questione dei poteri di monitoraggio dei bilanci statali a prescindere dalle richieste di sostegno.

Se equiparassimo il Fondo salva-Stati a un mutuo, sarebbe conveniente? 

In realtà il Mes può operare con modalità e in settori molto diversi tra loro. Semplificando, però, lo schema sarebbe sempre quello del mutuo di scopo. È un vecchio discorso: se la banca mi fa un mutuo per comprare casa e io con quei soldi ci vado in vacanza, è perfettamente normale che la banca esiga dei controlli e imponga condizioni. Detto questo, si apre il discorso se il mutuo sia conveniente, quali siano le sue condizioni, se serva davvero. E se si abbia interesse a sottostare a tutti questi controlli.

Lei cosa dice?

Oggi quei controlli si andrebbero ad aggiungere a quelli del Pnrr, tanto più per importi piuttosto limitati.

Scusi se insisto su questo punto. Già tre anni fa dicevamo che il Mes era uno strumento obsoleto rispetto al contesto di allora. Oggi il mondo è completamente cambiato; a maggior ragione occorre chiedersi quale sia il senso del Fondo salva-Stati.  

Per risponderle bisognerebbe sapere con chiarezza qual è oggi il ruolo della Bce, della Commissione, e quale siano il contenuto e la portata delle regole europee sui bilanci nazionali nella situazione attuale, e cioè in una fase in cui si parla già di riforma della governance economica europea, inseguendo il mondo del dopo-pandemia e della futura crisi energetica e industriale europea. Per rispondere comunque alla sua domanda, diciamo che il Mes è una burocrazia europea che opera, da banca, sui mercati internazionali, avvalendosi di questo doppio ruolo. E che giustifica la propria esistenza nella prospettiva di una crisi finanziaria, senza però avere l’infinita dotazione di una Banca centrale per gestire una vera crisi, che sia del settore pubblico o del settore privato. Il problema è che il Mes può gestire solo crisi di limitatissime dimensioni.

Nella prima fase della pandemia si è parlato molto, e lo si fa ancora, di un parente minore del Mes, il cosiddetto “Mes sanitario”. La finalità sanitaria sembra superare qualsiasi obiezione e chi è contrario appare un irresponsabile. “Prendere” (questo il verbo che va per la maggiore) o no il Mes sanitario?

Il Mes sanitario è una storia vecchia di più di due anni fa, che nessuno rimpiange e della quale sarebbe stato bene dimenticarsi. Chi lo ripropone oggi fa finta di non aver capito il dibattito – e le ragioni – di allora, che sono tali e quali a quelle dell’oggi. Ipotizziamo pure di chiedere questo finanziamento per la sanità a quell’istituto pre-fallimentare che è il Mes.

Ebbene?

Daremmo come primo segnale che l’Italia non ha più accesso ai mercati per finanziare la spesa sanitaria. Il che non solo non è vero, ma sarebbe puro autolesionismo, visto che il Mes è un creditore privilegiato. Ma daremmo anche un altro segnale preoccupante.

Quale?

Quello di voler fare più spesa corrente, mentre ci si sforza di approvare una manovra “disciplinata” per non creare attriti con Bruxelles in una fase critica per l’Europa. Ciò che si omette in genere di osservare è che i soldi presi dal Mes e poi spesi nella sanità andrebbero comunque contabilizzati, nella prossima o nelle prossime finanziarie.

A leggere certi articoli si ha l’impressione che quelli del Mes siano soldi regalati, come sembravano essere quelli del Pnrr due anni fa.

Purtroppo non è così. Non è che i soldi spesi in sanità siano fuori dal controllo della Commissione, solo perché li si è presi dal Mes. Trovo singolare che si faccia leva sulla crisi del sistema sanitario post-Covid per tornare ad avanzare proposte che avevano poco senso due anni fa. E che oggi ne hanno ancor meno. Sarebbe bene non parlarne più.

Riuscirebbe a spiegarcelo ancora meglio?

Basta rispolverare la vecchia distinzione tra un mutuo ipotecario e un mutuo senza garanzie, come ha fatto di recente – e benissimo – un attento commentatore di queste cose come Giuseppe Liturri. Che te ne fai di un mutuo con ipoteca, se il mutuo te lo danno anche senza ipoteca? Lei capisce che è un’obiezione difficile da superare. A meno che a qualcuno non piacciano le ipoteche.

Cosa succede se l’Italia ratifica il Mes?

Ratificare la riforma del Mes non significa chiedere il Mes sanitario o chiedere un finanziamento al Mes; sono due cose diverse che vanno nettamente distinte, anche se vengono messe assieme. Il Mes sanitario lo si poteva chiedere due anni fa come lo si potrebbe chiedere domattina, a prescindere dalla ratifica del trattato.

Non si cadrebbe ugualmente sotto le condizionalità previste dal Mes?

Senza condizionalità il Mes non può operare. Ma, a rigore, la riforma del trattato non ha niente a che fare con il Mes sanitario. Il Mes, le sue linee di credito (Pccl e Eccl) e le condizionalità annesse alle diverse linee, sono lì dal 2012. Tant’è vero che di Mes sanitario si parlava nel 2020, allo scoppio della pandemia. Semmai, ad aver cambiato il quadro rispetto ad allora è solo il Pnrr.

Torniamo all’esempio del mutuo ipotecario, per favore.

Dopo il Pnrr il ragionamento di chi vuole oggi il Mes sanitario è quello di chi ha fatto una prima ipoteca sulla casa con una banca e, visto che ha già un’ipoteca, si chiede che male farebbe farne una seconda, però con un’altra banca, e a condizioni diverse. Lei capisce che i controlli della Commissione sono sulla misura della spesa rispetto al Pil e non su dove reperisci i fondi che spendi.

Secondo lei si può escludere che in futuro, visti i tempi, andiamo in difficoltà sui mercati?

Nessuno può escludere nulla, compreso farsi finanziare dal Mes per pochi soldi. Ma di certo non è questo il momento.

Mes e revisione del Patto di stabilità: le due cose si tengono?

No, non si tengono. La riforma del Mes è partita nel 2017-18, assai prima del Covid e della crisi ucraina, e adesso cerca di giungere a compimento, riferendosi al mondo dell’altro ieri. La revisione del Patto di stabilità è un tema antico che è maturato dopo la pandemia e su cui si sta procedendo a tentoni, ferma restando la diffidenza verso la conservazione dei meccanismi di calcolo di quella cosa che è chiamata saldo strutturale di bilancio e che non ha mai convinto nessuno. Per quanto se ne parli, la revisione del Patto oggi è terra incognita. E, per la verità, ad essere terra incognita in Europa non mi pare essere solo la revisione del Patto.

(Federico Ferraù)

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