Il declassamento del ruolo economico della Germania in Europa e nel mondo è in atto e sarà terribile. Perché è questo il dramma che si consuma nel buio della coscienza europea di oggi, mentre si discute con il bilancino cliometrico delle regole del debito e del Meccanismo europeo di stabilità (Mes).
L’ascesa tedesca alle vette del potere mondiale poteva continuare dopo il riarmo pro-ucraino e “intra-Nato” della Wehrmacht? Esso si era realizzato grazie alla doppia mossa del cavallo della risorsa energetica russa disponibile a prezzi più bassi di quelli dell’oligopolio internazionale che – ecco la doppietta – funziona su scommesse finanziarie e non su contratti take or pay, come invece accade per chi non si serve dalla vivandiera russa. Ebbene, l’ascesa tedesca si sta interrompendo. Anzi: è l’ascesa russo-cino-teutonica al potere mondiale che si è interrotta. Le altre potenze che devono ricorrere al gas della pipeline multilateralista-finanziario-umanitaria post-Kissinger (che le sanzioni Usa-Ue seguite alla guerra di aggressione russa all’Ucraina impongono) fanno sentire la loro voce e anch’esse scalano le vette richiamate.
La lotta è senza esclusione di colpi. I fanti tedeschi crollano dai dirupi, ma continuano a difendersi. E come ci insegnano tutte le regole descritte da interi scaffali di antichi volumi di studi sulle relazioni internazionali condotti sulle traccia delle scuole realistiche (e quindi ormai quasi introvabili dopo l’ondata multilateralista post-kissingeriana), la soluzione trovata dai fanti di montagna tedeschi è aggressiva: è prettamente nazionalistica. Infatti, l’Ue non brilla certo per disponibilità all’autocritica in merito al Fiscal compact e al Patto di stabilità: tutt’altro. Si conservava tuttavia almeno la decenza: sì mal nascosta, ma in ogni caso evidente. Mi riferisco alla proposta che i ministri europei dovranno discutere, unitamente alla trappola per topi per eccellenza: il Mes.
Ma veniamo alla riforma Ue in discussione. Il cuore di essa risiede nel consentire la negoziazione di percorsi di rientro dal debito “personalizzati Paese per Paese in dipendenza dall’andamento dell’economia e delle riforme strutturali eseguite”: una sorta di negoziato dove i “Paesi cicala” hanno le mani legate dietro la schiena e non possono neppure respirare, ma tant’è, l’ ipocrisia è l’anima dei Trattati, Ue in primis… La proposta della Commissione è (udite udite) “un periodo di adattamento da quattro a sette anni per gli Stati membri prima della manovra di rientro”, che è intesa a dare temporaneamente ai Governi più margine di manovra per gli investimenti.
La riforma della Commissione dovrebbe consentire la negoziazione di percorsi di rientro dal debito personalizzati Paese per Paese in dipendenza dall’andamento dell’economia e delle riforme strutturali eseguite. Sotto lo sguardo delle tecnocrazie miste: tanto politiche, tanto nazionali, tanto cleptocratiche quel che basta per far funzionare meccanismi di controllo ignoti ai più e non legittimati di sorta, ma sempre beatificati.
Ma per i fanti tedeschi in ascesa sempre più perigliosa sulle vette, quelle regole dell’Ue avrebbero indotto un calo degli elevati rapporti di indebitamento – ogni anno dall’inizio del quadro fiscale riformato in poi – non ancora sufficiente e, soprattutto, foriero della possibilità di vedere emergere l’Uomo nero che porta il sacco dei debiti da dividere tra tutti: tra Paesi formiche e Paesi cicale… Altro che solidarietà post-Covid e di bellica impronta unitaria dinanzi all’Orso russo aggressore! Pertanto, gli attuali piani della Commissione devono essere modificati: gli obblighi per la riduzione del debito devono essere resi stringenti ma non condivisi… Altro che solidarietà dinanzi al Covid e altre facezie del genere… Secondo i fanti teutonici, invece, le regole dell’Ue dovrebbero portare a un calo degli elevati rapporti di indebitamento ogni anno grazie all’obbligo di una riduzione minima del debito (“tutela comune”) dell’1% del Pil all’anno per i Paesi ad alto indebitamento, come l’Italia, e dello 0,5% per i Paesi a medio indebitamento, come l’Austria.
La proposta della Commissione di un periodo di adattamento da quattro a sette anni per gli Stati membri prima della manovra di rientro, intesa a permettere più margine di manovra per gli investimenti, verrebbe così cassata, reintroducendo in tal modo la riduzione del debito di 1/20 all’anno fino al ritorno alla soglia standard del 60% debito/Pil, il tutto garantito da un benchmark della spesa, mantenendo così gli aumenti della spesa primaria netta al di sotto degli aumenti del tasso di crescita potenziale dell’economia. Maggiore il debito di un Paese, maggiore il divario tra l’aumento della spesa e la crescita potenziale, così da determinare un calo complessivo del disavanzo pubblico e quindi anche del debito. Ma raggiungere un calo annuale fisso dei livelli del debito ogni anno sarebbe catastrofico, grazie alla politica fiscale pro-ciclica che così si determinerebbe ancor più di quanto oggi già non accada, aggravando la recessione in maniera automatica e senza risultati di sorta in merito al controllo del debito.
Il tutto è denso di incognite anche per la cosiddetta questione del Mes, la cui riforma è auspicata a tambur battente da tutti i fautori dell’austerità come politica economica; tra di essi spiccano italiani che si pregiano del titolo di professori senza aver mai vinto un concorso a titoli e a esami e su cui si ha il buon gusto di calare un velo di silenzio. Richiamo allora qui solo le dichiarazioni contrarie al Mes e che dovrebbero indurre il Parlamento alla non ratifica. Una l’ha ben descritta nel 2019 Giampaolo Galli dell’Osservatorio sui conti pubblici italiani dell’Università Cattolica di Milano, ascoltato alla Camera dei deputati. Per Galli, nella riforma “trapela l’idea che un Paese che chiede aiuto al Mes debba ristrutturare preventivamente il proprio debito, se questo non è giudicato sostenibile dallo stesso Mes”. “La novità – afferma Galli – non sta tanto nella possibilità che un debito sovrano venga ristrutturato – cosa che è già avvenuta nel caso della Grecia -, ma nell’idea che la ristrutturazione diventi una precondizione, pressoché automatica, per ottenere i finanziamenti”.
Ma ancor più pregnanti sono state le preoccupazioni espresse da Ignazio Visco, Governatore della Banca d’Italia. Per Visco il principale problema della riforma è che s’affermi l’idea che taluni Stati dell’Eurozona, tra cui l’Italia, sarebbero assai presto posti nella condizione di dover ristrutturare il proprio debito pubblico: ma per il semplice titolo di “Stato coi bilanci pubblici meno in ordine”, una ristrutturazione – oggi non necessaria – potrebbe così farsi inevitabile. Ed è proprio questo, per l’Italia, il punto più rischioso tra quelli che saranno messi in discussione tra poche ore a Bruxelles: si tratta del rischio che l’annuncio di una maggior facilità nella ristrutturazione dei debiti pubblici scateni la speculazione contro le nazioni con “i conti meno in ordine”.
Non dimentichiamo, infatti, che nonostante la sua veste giuridica di special purpose entity, il Mes è un organo eminentemente politico, pur essendo un organo tecnico nei confronti della Commissione Ue. I suoi governatori sono nominati dagli Stati e li rappresentano, pur essendo tenuti al segreto anche dinanzi agli organi democratici dei medesimi Stati, ma è organo politico a tutto tondo nei confronti degli Stati europei, nei confronti dei quali può decidere in forma autonoma (sic) i prestiti e le condizioni dei medesimi.
Il fante, insomma, immagina di continuare l’ascesa verso la vetta in solitaria. Ma in realtà è inconsapevole della frana che sgretola la terra sotto i suoi scarponi chiodati. È iniziata la stagione del disgelo: lo si voglia o no…
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