Gli italiani, come tutti i popoli che si affacciano sul Mediterraneo hanno uno spirito libero e, lasciandolo libero, sono capaci di estrarre da sé tutto il genio del proprio essere. La storia ce lo dimostra e, nel miglior periodo della libera espressione italiana, il tardo Medio Evo e il Rinascimento, è ancor più evidente, perché esso ci ha lasciato in eredità tanti nomi importanti; nel mio campo mi limito a ricordare la figura di fra’ Luca Pacioli, matematico ed economista italiano, inventore e genio della partita doppia.
A questo riconoscimento devo aggiungere qualche aneddoto legato alla mia esperienza lavorativa, affinché esso possa servire a correggere un ricorrente ed errato approccio alla soluzione dei problemi.
Nel 1972 frequentavo il corso di formazione nel settore del credito presso l’Istituto di emissione. Si parlava degli accordi di cambio di Washington, che stabilivano un margine positivo o negativo massimo del 4,5% che doveva essere mantenuto rispetto alla valuta di riferimento che allora era il dollaro. Ciò faceva sì che tra i sei Paesi membri della Comunità economica europea (Belgio, Francia, Germania Occidentale, Italia, Lussemburgo e Olanda) il valore delle proprie monete potesse divaricare di una percentuale doppia rispetto a quella nei confronti del dollaro, cioè di ben nove punti percentuali. La caparbietà dei rappresentanti economici europei ritenne di poter concludere degli accordi per imporre ridotti margini di fluttuazione tra i Paesi della Cee, ai quali poi si aggiunsero pure la Danimarca, la Gran Bretagna, l’Irlanda e la Norvegia; si volevano ridurre le oscillazioni tra le monete dei rispettivi Stati ad appena il 2,25%. Si pensò che potesse bastare l’invito ad adottare i margini ristretti per far viaggiare le valute all’unisono rispetto alla fluttuazione nei confronti del dollaro.
In separata sede eccepii che senza aver inventato un criterio che facilitasse la convergenza, sarebbe stato impossibile mantenere a lungo tale condotta stando assieme addirittura con ben altri nove Paesi, a meno che l’obbligo della convergenza non fosse stato imposto ai Paesi che presentavano le maggiori oscillazioni positive rispetto al dollaro.
Purtroppo fu deciso come concordato: nell’aprile del 1972, alla fine del corso, gli accordi furono firmati e subito dopo la mia partenza per il servizio militare, appena due mesi dopo, la Gran Bretagna, e poi la Danimarca, l’Irlanda e l’Italia, la seguirono per non poter ottemperare a quell’obbligo. Un fresco laureato si dimostrò allora più capace di tanti soloni.
Ancora oggi, la figura del “solone” (la cui madre è sistematicamente incinta) è drammaticamente presente nelle istituzioni europee. Infatti è stato pubblicato uno studio che ha voluto analizzare il debito dei Paesi sovrani che hanno trovato difficoltà nell’adempimento dei propri debiti a partire del 1994. Un immane lavoro che reputo inutile perché, anziché individuare le cause dei “default” al fine di eliminarle, lo studio è stato indirizzato semplicemente a rilevare le difficoltà incontrate dai Paesi debitori nel riuscire a convincere i creditori a partecipare alla ristrutturazione del debito, a censire le azioni giudiziarie di parte dei creditori per non vedersi tagliare una parte del proprio credito, a verificare gli esiti derivanti dall’introduzione di clausole di azione collettiva (Cac) che possono vincolare i creditori di minoranza ad accettare i termini di una ristrutturazione del debito se approvata da una maggioranza qualificata di creditori. Invero la conclusione, rispetto alla mole di lavoro svolto, è alquanto deludente.
La delusione è ancora maggiore se osserviamo quanti riflettori siano stati puntati sulla sindrome influenzale cinese coronavirus rispetto all’influenza asiatica che, nel triennio 1957-60 fece riscontrare circa due milioni di morti, o peggio, rispetto alla spagnola, diffusasi tra il 1918 e il 1920, che aveva ucciso più di 50 milioni di persone, quasi esclusivamente giovani adulti, mentre il coronavirus colpisce anziani già in cattive condizioni di salute.
Verrebbe da pensare che i riflettori siano stati accesi per mettere in sordina l’approvazione di quell’assurdo Meccanismo europeo di sicurezza (Mes). Ora, come nell’allora 1972, sembra che i “soloni” europeisti abbiano fatto leva sull’orgoglio di alcuni “ebeti” italiani incapaci di alzare la voce di fronte alle insulse proposte di talune controparti estere che fanno sfoggio di capacità e competenze assolutamente inesistenti.
Lo dimostra il fatto che il Presidente della Consob abbia ricordato la stabilità dei fondamentali italiani: ma allora che senso ha per l’Italia mettere a disposizione del Mes oltre 125 miliardi di euro a garanzia dei prestiti contratti dai Paesi europei i cui Stati risultano poco indebitati senza poter minimamente ipotizzare che quei miliardi accantonati possano servire in futuro per migliorare la situazione italiana?
In effetti quell’importo che viene versato dall’Italia al Mes la fiacca economicamente, perché quell’esborso deve essere tirato fuori da un aumento della fiscalità a carico dei cittadini e delle imprese e, oltretutto, esso viene posto a garanzia solo dei Paesi poco indebitati e perciò rappresenterà pure la giustificazione non più teorica, ma effettiva, al famoso spread, cioè il divario fra i tassi di interesse tra gli Stati aderenti all’euro. In pratica i nostri rappresentanti nelle sedi internazionali sanno soltanto “suicidarci” (con la “c”, mica si suicidano loro!).
Anche qui verrebbe da pensar male, ma è sempre stato così. Perché ho parlato del Pacioli? Semplicemente perché le rilevazioni in partita doppia degli accadimenti di gestione con il suo metodo lasciavano perenne traccia di quanto accaduto (così è facilmente riscontrabile che l’oro detenuto dalla Banca d’Italia è di proprietà degli italiani, anzi degli italiani discendenti del Regno delle Due Sicilie). Eppure, sempre in sede europea, anziché seguire le orme del grande matematico, si preferì scegliere di modificare le rilevazioni contabili in nome di una “presunta trasparenza”, cioè imporre a tutte le banche italiane, sopportandone gli immani costi, di modificare i sistemi elettronici di rilevazione sulla falsariga anglosassone. In altre parole, quello che consentiva di verificare in maniera automatica il compimento di operazioni anomale bisognava farlo in maniera più complessa.
Del resto, all’Italia non serve nemmeno l’adesione a un sistema di unione bancaria europea, atteso che si è fatto di tutto per perdere la proprietà delle banche di un certo rilievo. Negli anni, infatti, sono state scorporate dalle fondazioni bancarie le rispettive aziende, trasformate in società per azioni; poi alle fondazioni è stato imposto di disfarsi del pacchetto azionario di maggioranza, in modo da causarne la svendita. Analogamente è avvenuto con le due riforme sulla cooperazione bancaria (popolari e banche di credito cooperativo). Il risultato conseguente è stato che non abbiamo più una banca di rilievo che sia autenticamente di proprietà italiana.
Se pensate agli aneddoti e a questi pochi esempi di quanto avvenuto non sarebbe ora di rendere incompatibile il ruolo di rappresentante degli interessi italiani a soggetti esterofili?
Alla Germania, nel momento in cui le è stata concessa l’adozione collegiale dell’euro, che viene emesso esclusivamente attraverso la concessione di prestiti, le è stata ceduta la gestione di un’arma invisibile che le consente di acquisire la proprietà di tutte le ricchezze degli Stati compartecipanti alla moneta emessa a debito.
Non ne siete convinti? Guardatevi la scena del film “El concursante” reperibile su Youtube del banchiere magnanimo che presta il denaro dietro compenso di interesse!
Lo vedremo anche con il sistema di assicurazione dei depositi troppo sbilanciato a favore degli Stati che hanno favorito lo sviluppo dei derivati, che invece viene dichiarato sempre dalla Germania come sbilanciato a favore degli Stati mediterranei.
Solo per farvi riflettere: chi è più solvibile, un privato che abbia contratto un prestito e che deve vendere i propri prodotti per procurarsi gli interessi mai emessi dagli organismi bancari che gli hanno prestato il capitale, oppure uno Stato che, dovendo restituire quegli interessi mai emessi, li può prelevare coattivamente dai propri cittadini attraverso il sistema impositivo, oppure potrebbe procurarseli anche continuando nella svendita dei propri gioielli, ivi compreso il patrimonio artistico e architettonico? La risposta è semplice: occorre però avere il coraggio di spedire fuori dall’Italia con il solo biglietto di andata gli esterofili che continuano a tenerci in ostaggio dicendoci che mangiamo lo pane altrui.
Il progetto tedesco di unione bancaria mira a porre limiti alla detenzione da parte delle banche europee di titoli del debito pubblico; in questo modo, avendo approvato un Mes che sottrae all’Italia oltre 125 miliardi di euro senza alcuna contropartita e avendo concesso al Mes poteri non sottoponibili a sanzioni penali, non avremmo più alcuna speranza: il debito italiano rischierebbe un intervento di ristrutturazione obbligatorio da parte del Mes, le cui conseguenze, studiate dalla Bce, non farebbero altro che impaurire i creditori, i quali pretenderebbero ancora più interessi e quindi ci lascerebbero minori interventi assistenziali e previdenziali, così come avviene in Grecia.
Non ce la passiamo bene, ma una soluzione ci sarebbe e non è necessariamente politica. Basta che venga data l’opportunità di sottoporre a verifica empirica il mio progetto associativo. Le risultanze di tale verifica dimostreranno che ancora non tutto è perduto. Occorre: 1) un insieme di imprenditori che vogliano coinvolgere i propri clienti oppure 2) un sindaco che faccia la stessa cosa per i propri cittadini.
Sono fiducioso, provare per credere. E d’ora in poi non potrete dire di non essere stati avvisati.
Dopo l’approvazione del Mes le banche che avranno acquistato titoli di Stato italiani dovranno disfarsene iscrivendo perdite nei propri conti economici. Potrebbe essere applicato il famigerato e incostituzionale bail-in anche ai conti di importo inferiore al valore massimo garantito, attesa l’incapienza dei fondi stessi; potrebbe essere giustificata l’applicazione di una patrimoniale; potrebbe accadere anche di peggio, perché l’allarme del coronavirus ha fatto i suoi danni. Continuiamo a dare fiducia a chi non se la merita?
In tempo per segnalare che la Bce il 24 febbraio ha pubblicato un comunicato stampa nel quale segnala che “nell’ambito del riesame della strategia (…) che si terrà a Bruxelles il 26 marzo (…) la Banca centrale europea (…) e le 19 banche centrali nazionali dell’area dell’euro (…) invitano cittadini e organizzazioni dell’area a dare il proprio contributo, presentando idee e commenti sul modo in cui la banca centrale conduce la politica monetaria (…). La Bce pubblica (…) e mette a disposizione dei cittadini un formulario online per presentare proposte e osservazioni (…)”. Dopo varie ricerche sul sito ho trovato in “strategy review” il portale “la Bce ti ascolta”; occorre condividere le idee entro il 20 aprile prossimo. Sarà il caso di fargli pervenire questo articolo? Se la Bce non si comporta come si comportò l’Istituto di emissione nel caso del serpente monetario e sa interpretare le critiche costruttive di questo articolo, la soluzione è nelle loro mani. Se non dovessero saperle interpretare sono comunque a disposizione.
Chiedo ai lettori la collaborazione a inviare alla Bce copia di quest’articolo. Solo un massiccio invio potrà consentire di avere finalmente una politica che non toglie più ai Paesi svantaggiati per dare a chi ha già fin troppo ingrossato il proprio portafoglio.