Conte respinge al mittente le accuse dell’opposizione – Lega e Fratelli d’Italia – di avere tradito il mandato parlamentare nel negoziato sul Fondo salva-Stati (Mes). Ottiene in cambio molta freddezza da parte di M5s e una dura replica di Salvini: “sul Mes o ha mentito Gualtieri, o ha mentito Conte o non ha capito Di Maio. Se qualcuno ha mentito credo sia stato Conte perché Gualtieri non c’era”.
Sono questi i termini dello scontro, tutto politico, andato in scena ieri durante l’informativa del presidente del Consiglio sul Mes alla Camera e al Senato. Qualcosa si è mosso anche sul versante europeo. “Mes già approvato, meglio chiudere ora” fa sapere l’Eurogruppo prima che Conte si rechi in Senato. Un lancio d’agenzia che sembra il perfetto inizio di una campagna di “moral suasion”, oltre che una smentita di Conte. La citata “approvazione” infatti non può riferirsi all’atto formale di ratifica del trattato. Semmai sembra alludere al probabile allineamento politico di Conte agli altri partner europei sul Fondo salva-Stati. Forse è proprio per questo che Bruxelles, tempo mezz’ora, ammorbidisce subito i toni: “La firma della riforma del trattato Mes non è necessaria a dicembre. Potrebbe essere uno o due mesi dopo”, dice una fonte europea all’agenzia Reuters.
Luciano Violante, giurista, deputato per otto legislature ed ex presidente della Camera, condivide le forti preoccupazioni di Ignazio Visco. Il Mes presenta molti rischi, dice al Sussidiario, il governo può e deve negoziare condizioni più favorevoli.
Presidente Violante, cosa pensa di quanto ha detto Conte in aula?
Mi è sembrato documentato e convincente.
Lo scontro politico riguarda il mandato attribuito a Conte dal governo gialloverde. M5s vuole capire quali sono le implicazioni del trattato per l’Italia. Salvini si è detto d’accordo.
M5s e Lega hanno fatto parte del governo che ha condotto la procedura Mes fino all’agosto scorso; pertanto è difficile che non sapessero. A volte le esigenze della comunicazione politica impongono atteggiamenti apparentemente contraddittori.
Ma qual è lo stato reale della situazione?
Il 19 giugno le Camere hanno approvato un documento che impegna il governo a non condividere modifiche che prevedono condizioni preventive di ristrutturazione per i paesi che hanno bisogno di aiuti, a non approvare modifiche che incidano sulle prerogative della Commissione in materia di sorveglianza, e infine a non firmare il trattato senza il voto favorevole del Parlamento. Questa è la mozione che impegnava il governo precedente, non l’attuale. Tuttavia è una scelta corretta e a mio modo di vedere ci dovremmo collocare su questa linea.
Dunque massima prudenza e vedere le carte. Sembrerebbe scontato, e invece.
Certo. Avere un atteggiamento altalenante su queste materie logora la reputazione di un paese.
Nei giorni scorsi Salvini ha chiesto di essere ricevuto da Mattarella. Si profila per il capo dello Stato un ruolo di arbitro?
No, perché siamo di fronte ad una questione puramente parlamentare: un conflitto tra forze parlamentari su un tema di specifica competenza del Parlamento. Non ci sono motivazioni istituzionali che consentano al capo dello Stato di intervenire. Se lo facesse, esulerebbe dai limiti del suo mandato.
Visco ha parlato di “enorme rischio” che potrebbe avere il semplice annuncio di una ristrutturazione del debito. E il governatore di Bankitalia non è propriamente un “sovranista”.
Siamo in una situazione molto delicata per due condizioni che non sono auspicabili. La prima è che il controllo finanziario sul debito dei paesi passi dalla Commissione al Mes.
Per quali ragioni?
Perché ad un valutazione politica si sostituirebbe una valutazione tecnico-ragionieristica.
E la seconda condizione?
Che si stabilisca che in caso di prestito si debba procedere obbligatoriamente a una ristrutturazione del debito. Anche in questo caso salterebbe qualunque criterio di bilanciamento politico e prevarrebbe, ancora una volta, solo un approccio tecnico.
Siamo un paese in difficoltà?
Non come si vuol far credere. L’Italia ha un alto debito pubblico che però è solvibile, sia perché abbiamo un risparmio individuale molto elevato, sia perché i titoli di debito pubblico sono detenuti al 70 per cento da soggetti interni.
Questo che cosa significa?
Che non ci sono soggetti esterni che possano all’improvviso smobilizzare i titoli e mettere in crisi il nostro sistema finanziario.
Però una tempesta sui mercati con annesso innalzamento dello spread potrebbe procurarci molti guai.
Certamente. Ma questa tempesta potrebbe verificarsi indipendentemente dal Mes, se perdessimo credibilità.
Sappiamo che la riforma “sposta decisamente l’asse del potere economico nell’eurozona dalla Commissione europea al Mes” ha detto l’economista Giampaolo Galli in audizione. Questa modifica non andrebbe letta con una certa dose di malizia?
Tutti i paesi che sono custodi della rigidità del bilancio non hanno visto di buon occhio che la valutazione sia solo di carattere politico e non prevalentemente tecnico-finanziaria. Il fatto che il Mes acquisisca un peso maggiore nei confronti dei singoli Stati è un rischio che va attentamente valutato. Prima dicevo che il nostro debito è in possesso delle banche italiane; un soggetto meramente ragionieristico potrebbe non valutare questi aspetti nel modo dovuto e opportuno.
L’Ue è davvero “l’unico possibile gigante buono”, come ha detto Gentiloni al Corriere?
L’Ue non è un gigante buono, è buona o cattiva a seconda di quello che facciamo noi e che fanno i singoli Stati. Se poi facciamo del nostro meglio per perdere autorevolezza e credibilità, non possiamo stupirci se prevale chi in questo momento è più forte, cioè Francia e Germania.
Che cosa deve fare il governo?
Giocare seriamente la partita per salvaguardare la nostra reputazione. Vuol dire negoziare condizioni a noi favorevoli. Se il Mes valuta caso per caso e le sue conclusioni restano riservate, va bene, ma se così non è, il rischio è che l’annuncio di una potenziale ristrutturazione comporti, come ha detto Visco, “una reazione a catena di aspettative di default”.
Par di capire che lei abbia qualche riserva sull’ottimismo incondizionato di cui ha fatto mostra Gualtieri in audizione davanti alle Commissioni finanze riunite.
L’Italia ha un debito molto alto e quindi non possiamo fare quelli che discettano di questa materia senza considerare qual è la nostra condizione finanziaria. Se dovessimo correre un grande rischio e non ci fosse il Fondo, saremmo i primi ad essere penalizzati. Nello stesso tempo non si intravedono all’orizzonte riforme strutturali tali da consentirci di entrare tra i paesi para-virtuosi se non in un periodo molto lungo. Se il Mes non ci va bene, che cosa ci va bene?
Condivide la logica a pacchetto (Mes e unione bancaria) del governo?
Sì, a patto di poter negoziare quello che ne fa parte. È un discorso che mi pare serio, accettabile.
(Federico Ferraù)