Ieri mattina l’operazione di un nutrito gruppo di carabinieri del Crimor di Roma e del Ros di Palermo ha posto fine alla latitanza del boss Matteo Messina Denaro. Il catturando, che è malato, è stato sorpreso, in fila, presso la clinica La Maddalena di Palermo a due passi da casa. Doveva sottoporsi, sotto il falso nome di Andrea Bonafede, a un ciclo di chemioterapia.
Messina Denaro preannunciò la sua latitanza, con una lettera, alla fidanzata. Prevedeva per lui un futuro da primula rossa, come un cavaliere romantico, in lotta contro un destino cinico e baro. In realtà si tratta di un pluriassassino. È stato condannato per decine di omicidi e fu protagonista delle stragi dei giudici Falcone e Borsellino. Tra le sue vittime anche il piccolo Giuseppe di Matteo, figlio del pentito Santino. Il bimbo fu sequestrato per due anni, poi strangolato e sciolto nell’acido.
Subito dopo la cattura si sono aperte le cateratte della disinformazione. È bastato fare un giro in rete per leggere che qualcuno non gioiva per niente della cattura. Perché trent’anni di latitanza non sono accettabili in un Paese come il nostro. Vuol dire che qualcosa non funziona. Qualcun altro, dall’estero, asseriva che in realtà il boss, essendo gravemente malato, si era consegnato, avendo bisogno di cure. Infine qualcuno sosteneva che in realtà la cattura era frutto di un accordo. Un compromesso per permettere, dopo il sacrificio del boss, che un altro mafioso uscisse dal carcere, in barba all’ergastolo ostativo. I personaggi più disparati hanno commentato la vicenda per dare un senso alla propria esistenza. In quel momento ho pensato con nostalgia alla Serenissima Repubblica Veneta, dove era vietato parlare della laguna a chi non avesse titoli ben precisi per farlo.
Tra le file degli investigatori bocche sono ben cucite, perché c’è sempre qualcos’altro che bolle in pentola. Tuttavia, a denti stretti, qualcuno ha raccontato come partendo dalla malattia del mafioso latitante si sia spiegata una capillare azione di intelligence sulle strutture medicali dell’isola. Di come si sia creato un cerchio investigativo, che si è progressivamente ristretto, intorno ad una decina di strutture. Si parla di una cattura fallita di un soffio circa quattro mesi fa con il latitante che è sfuggito in extremis all’Arma. Cattura che però non è fallita stamane dopo aver blindato la clinica in cui si trovava.
L’arresto di Messina Denaro, definito anche “il boss che ama sparare”, è un vero spartiacque. Nella storia d’Italia ci sarà da ora in poi un prima; la funesta stagione delle stragi. E ci sarà anche un dopo; la cattura del superlatitante, ultimo stragista di mafia. L’ultimo pensiero va all’incrollabile volontà dello stesso gruppo investigativo che con il capitano “Ultimo” pose fine alla beffarda e criminale libertà di Salvatore Riina.
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