Un colpo mortale inferto alla mafia, a quella che conoscevamo finora, la cui sconfitta viene resa definitiva proprio dall’arresto dell’ultimo grande boss ancora in circolazione: Matteo Messina Denaro. Mario Mori, ex comandante del Ros ed ex direttore del Sisde, generale dei carabinieri che si è occupato spesso di Cosa nostra nella sua carriera, finendo anche tra gli imputati del processo per la trattativa Stato-mafia, nel quale è stato assolto dalla Corte d’Assise d’Appello di Palermo, vede nell’arresto del super latitante la fine operativa di Cosa nostra.
Certo Messina Denaro se volesse potrebbe contribuire a fare luce sui molti dei fatti che hanno segnato le cronache di questi ultimi decenni, a partire dalle stragi. Con la sua cattura, comunque, la mafia che faceva capo a lui e agli altri boss che ne hanno fatto la storia recente non ci sarebbe più.
Generale Mori, perché ha affermato che l’arresto di Messina Denaro significa la fine di Cosa nostra?
Cosa nostra operativa è finita, rimangono in piedi il sentire mafioso e la cultura mafiosa, ma questa è un’altra cosa. La Cosa nostra di Badalamenti, Riina, Provenzano e soci operativamente è finita.
Ma al di là dell’arresto non hanno più le forze per ricostruire qualcosa di simile?
Ancor prima dell’arresto Matteo Messina Denaro era un uomo in fuga. Ormai era circondato, perché progressivamente venivano arrestati tutti i sostenitori, i fiancheggiatori, quelli che gli davano la possibilità di muoversi con una certa serenità. Questo sta a significare intanto che non c’erano più fatti criminali importanti, perché non aveva materialmente la forza, gli uomini e la dotazione economica per fare attività.
Cosa nostra operativa allora era finita da prima? L’arresto di Messina Denaro non fa che sancire una situazione già in essere?
Per me sì, la sancisce in maniera definitiva. Il sentire mafioso, la cultura mafiosa rimangono in piedi, ma intanto questa esperienza è finita. La cultura mafiosa non la combatte solo ed esclusivamente la polizia o la magistratura, la combattono la politica, l’imprenditoria, l’informazione, la cultura. Si tratta di fare un salto di qualità nel contrasto a ciò che rimane della mafia, cioè la sua cultura, che è fondamentale.
Questo vuol dire che non ci sono più strutture operative? Di cosche non ce ne sono più?
Ci sarà qualche sciagurato che ha tre o quattro dipendenti e fanno un pochettino di pizzo, ma la struttura con famiglie, commissione provinciale e commissione regionale è finita.
Questa cultura mafiosa dove sopravvive in questo momento?
Intanto in quei luoghi lì, ma è stata anche esportata in altre parti del territorio nazionale con la normale osmosi della società, grazie alla possibilità di muoversi. Questo è da contrastare efficacemente, ma ripeto, ci vogliono altri strumenti oltre alle forze di polizia per fare questo lavoro.
Come mai Matteo Messina Denaro è riuscito a rimanere latitante per 30 anni?
Gli accertamenti e quello che ci diranno gli investigatori ci faranno capire come si è sviluppata questa indagine e anche quelli che erano gli strumenti con cui si difendeva e che gli davano la possibilità di essere ancora latitante.
Aveva degli appoggi per sfuggire agli arresti. Vuol dire che un minimo di struttura ce l’aveva ancora?
La struttura per me non ce l’aveva, aveva qualcuno che lo fiancheggiava, ma questo è un altro tipo di lavoro. Il fiancheggiatore non fa parte della struttura in senso stretto, è uno che fa parte del sistema in senso lato.
È più un legame quasi personale?
Sì, personale o comunque di affari minuti.
Quanto potrebbe rivelare Messina Denaro se lo volesse? Cosa potrebbe dire in più rispetto a quello che si sa finora di Cosa nostra?
Potrebbe definire compiutamente il periodo delle stragi, che lui ha vissuto in prima persona, e mettere la parola fine su questo aspetto. Chiarire tutti gli aspetti che finora non sono stati chiariti, i dubbi che ci sono ancora, questo senz’altro.
E dal punto di vista delle indagini, invece, sulla mafia cosa c’è ancora da scoprire?
Questo non lo so, ormai sono fuori dal giro, bisognerebbe chiedere a chi è operativo. C’è poco da scoprire: bisogna seguire il fenomeno nelle sue nuove manifestazioni in modo da non perdere la battuta, perché il problema è questo: molte volte in Italia succede che si riesce a mettere le mani sui capi del gruppo criminale e si pensa che sia tutto finito. Questo non sempre è vero. È già successo con il terrorismo e può succedere anche con la mafia. L’importante è rimanere sempre sul pezzo e riuscire a bloccare i primi tentativi di ripresa.
Quindi la struttura operativa di Cosa nostra non c’è più ma potrebbe anche ricostituirsi.
Ma certo, con altre forme, con altre modalità, forse anche in luoghi diversi da quelli ai quali pensiamo normalmente. Questo pericolo c’è, ma il rischio più grave è l’altro: c’è un modo di concepire la vita, un modo criminale, che deve essere combattuto. Occorre uno sforzo al quale devono concorrere tutti, non solo le forze di polizia.
(Paolo Rossetti)
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