In pochi minuti ieri mattina ha fatto il giro del mondo la notizia dell’arresto, dopo ben 30 anni di latitanza, di Matteo Messina Denaro, il boss mafioso più ricercato d’Italia, pur non potendo essere considerato il capo della mafia. Alcuni collaboratori di giustizia ne hanno negli anni raccontato la personalità, tratteggiando un personaggio di grande carisma, che, tanto per dire, era uso citare Virgilio e l’Eneide. Era infatti di gran lunga il più acculturato componente della cupola, senza che ciò facesse tuttavia venir meno la sua enorme crudeltà, vantandosi lui stesso, del resto, di avere “ucciso tante persone da riempire un cimitero”. Sempre lui, dicono le carte processuali, fu quello che propose i beni artistici come obiettivo da colpire per le stragi del 1993, dopo essere stato tra i protagonisti di quelle del 1992, facendo inoltre parte del commando che nel febbraio di quell’anno doveva uccidere Falcone a Roma.
Ma se la fama di uomo spietato gli viene riconosciuta, qualche dubbio si è nutrito sulla sua reale capacità di ricostruire, dopo gli arresti di Riina e Provenzano, la struttura unitaria di Cosa nostra intaccata dagli arresti e da un processo di frammentazione. Di certo egli ha traghettato Cosa nostra nel secondo millennio anche grazie alla scia di leggende che ne ha caratterizzato la trentennale latitanza: grande conquistatore di donne, patito di auto e orologi di lusso (come quello che aveva ieri al momento dell’arresto, dal valore, si dice, di 35 mila euro), maniaco dei videogiochi, appassionato consumatore di fumetti. Come qualcuno ha ricordato in queste ore, anche nei soprannomi Matteo Messina Denaro impersonava il doppio volto di un capo capace di coniugare la dimensione tradizionale e familiare della mafia con la sua versione più moderna.
Su di lui era stata posta una taglia da un milione e mezzo, ma per fargli attorno terra bruciata gli investigatori, adoperando il cosiddetto metodo Dalla Chiesa, hanno stretto in una tenaglia la rete dei fiancheggiatori. Neanche i suoi familiari sono stati risparmiati: la sorella Patrizia è stata arrestata e accusata di avere gestito un giro di estorsioni, il fratello Salvatore, i cognati, un nipote, oltre una rete di gente fidata, costituita da prestanome spesso insospettabili, hanno subìto ripetuti sequestri patrimoniali. Pur vivendo come un fantasma, è diventato padre due volte, come il suo maestro Totò Riina. Di una figlia si sa tutto: il nome, la madre e come ha trascorso l’infanzia e l’adolescenza in casa della nonna, per andare poi a vivere con la madre. Dell’altro figlio si sa invece quel poco che è trapelato dalle intercettazioni: si chiama Francesco, come il vecchio patriarca della dinastia, ed è nato tra il 2004 e il 2005 fra Castelvetrano e Partanna, dove Matteo Messina Denaro ha costruito il suo potere economico e criminale.
Ricchissimo oltre che potentissimo, non ha mai ricoperto il ruolo di capo dei capi, probabilmente non ne aveva bisogno o forse le sue origini non palermitane glielo hanno impedito; possedeva però, o meglio sarebbe dire possiede, il famigerato archivio di Riina che fu rimosso dalla sua casa il giorno dopo l’arresto nella stupefacente e mai chiarita distrazione di magistrati e forze dell’ordine. Sta di fatto che i segreti di cui è custode questa volta non gli sono valsi come lasciapassare. E su questo aspetto, a fronte delle dietrologie che si sono subito scatenate, è bene chiarire che l’arresto di Matteo Messina Denaro rappresenta senza dubbio il frutto di lunghe e difficili indagini sviluppate con arguzia, attenzione ai dettagli, intuizioni e soprattutto la professionalità e la dedizione dell’Arma dei carabinieri e, in generale, di tutte le forze dell’ordine che, come ricordato dal procuratore di Palermo, in questi anni non hanno mai cessato di cercare l’ultimo boss stragista ancora libero.
Non crediamo che abbia scelto di farsi prendere né, come pure ipotizzato da alcuni, che egli possa sperare in un allentamento delle leggi, magari perché troppo malato. Difficile anche prevedere una scelta di collaborazione con la giustizia, non fosse altro per le ingenti ricchezze accumulate di cui ancora si ritiene possa disporre e che costituiscono la sua vera forza. Appare invece certo che il suo arresto segna l’inizio di in una nuova era nella storia della mafia poiché ieri si è ufficialmente chiusa l’epoca stragista dei corleonesi. Difficile tuttavia pensare che esso possa rappresentare l’inizio della fine. Riposti i calici per i legittimi brindisi, emergerà pian piano che ciò che è importante non è l’arresto in sé, ma ciò che verrà dopo. Catturato Riina, Provenzano garantiva un equilibrio. Arrestato quest’ultimo, Messina Denaro ha raccolto quel testimone e garantito quello stesso equilibrio ma ora, senza dubbio, quell’equilibrio è stato rotto. Con tutto ciò che esso può comportare.
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