Il panorama politico cambia e Meta decide di fermare il fact checking e di smantellare anche i programmi interni di diversità e inclusione, anche a tutela Lgbt. Una scelta duramente criticata dal presidente uscente Usa Joe Biden, che l’ha definita “vergognosa“. Il caso è scoppiato martedì, quando l’amministratore delegato di Meta ha annunciato che avrebbe lasciato agli utenti il fact checking tramite il modello delle “community notes” che è utilizzato su X.
La svolta è stata interpretata come un tentativo di placare il presidente eletto Donald Trump, la cui base di sostenitori conservatori si è a lungo lamentata del fatto che il fact checking sulle piattaforme tecnologiche fosse un modo per limitare la libertà di parola e censurare i contenuti di destra.
Meta ha anche deciso di chiudere i programmi dedicati alla diversità, equità e inclusione (Dei) e lo ha comunicato ai dipendenti con un comunicato interno. Si tratta di programmi importanti, perché si occupavano di garantire pari opportunità alle minoranze tramite interventi ad hoc nelle procedure di assunzione, ma anche a livello di formazione e scelta dei fornitori. Janelle Gale, vicepresidente delle risorse umane di Meta, ha spiegato che il panorama sta cambiando, sia a livello politico sia legale, attorno a tali ambiti.
BUFERA IN USA DOPO SVOLTA META
A lanciare l’allarme anche l’International Fact-Checking Network, che mette in guardia dalle conseguenze devastanti che questa decisione potrebbe avere se venisse estesa anche al di fuori degli Usa, visto che i social come Facebook e Instagram sono utilizzati in oltre 100 Paesi. “Alcuni di questi Paesi sono altamente vulnerabili alla disinformazione che favorisce l’instabilità politica, le interferenze elettorali, la violenza delle folle e persino il genocidio“, ha scritto l’IFCN in una lettera aperta a Zuckerberg.
ZUCKERBERG “FACT CHECKER DI PARTE, TROPPA CENSURA”
Ma Mark Zuckerberg ha ribadito la sua posizione in un’intervista col podcaster Joe Rogan, in cui ha paragonato il fact checking a “qualcosa del 1984“, facendo un riferimento al romanzo distopico di George Orwell. Ha anche spiegato che questo programma, avviato nel 2016, stava “distruggendo tanta fiducia, soprattutto negli Usa“.
Zuckerberg ha anche espresso rammarico per aver trattato con “troppa deferenza” i media tradizionali, criticandoli per aver spinto la narrativa secondo cui la disinformazione dei social media avrebbe fatto pendere le elezioni del 2016 a favore di Trump. Per Zuckerberg, i fact-checker erano “troppo politicamente di parte” e ha ammesso che c’era stata “troppa censura“.
Ma l’IFCN lo ha aspramente criticato, definendo “falsa” la sua affermazione e insistendo sul fatto che i partner di Meta per il fact-checking sono stati sottoposti a verifiche “rigorose” per soddisfare i suoi severi standard di apartiticità. Sulla vicenda è intervenuto anche Volker Turk, capo delle Nazioni Unite per i diritti, secondo cui regolare i contenuti dannosi e i discorsi di odio online “non è censura“.