Michela Buscemi è la testimonial della giornata contro le mafie, un riconoscimento arrivato per il merito di essere stata la prima donna che 38 anni fa si ribellò a cosa nostra, denunciando i nomi dei malavitosi che uccisero due dei suoi fratelli. Un ruolo che porta avanti ancora oggi all’età di 85 anni, sostenendo con fermezza le sue posizioni e raccontando il caro prezzo che ha dovuto pagare per aver avuto il coraggio di pretendere giustizia. Intervistata da La Repubblica ha ripercorso alcuni dei momenti più drammatici che hanno segnato la sua vita dopo la decisione di testimoniare costituendosi parte civile al maxi processo, il peggiore, quello dell’isolamento sociale arrivato principalmente dalla sua famiglia che l’ha abbandonata per paura di ritorsioni.
“Anche mia madre“, dice, “Mi ha lasciato sola tirandosi indietro, e il resto della mia famiglia, compresi gli altri fratelli dissero ai giornali che ero una pazza e si allontanarono“, e aggiunge: “Ancora oggi non ho più contatti“, sottolineando soprattutto la delusione per il comportamento di una “Madre che non combatte per i propri figli“.
Michela Buscemi: “Ho pagato il coraggio a caro prezzo, ora insegno ai giovani a non arrendersi alla mafia”
Michela Buscemi, prima donna che testimoniò contro la mafia a Palermo, ricorda nell’intervista a La Repubblica, i difficili momenti che seguirono dopo il suo atto di coraggio, per cercare giustizia nell’uccisione de suoi fratelli. Il primo, vittima di una sparatoria perchè aveva tentato di trafficare sigarette senza chiedere permesso ai boss, ed il secondo eliminato nel tentativo di cercare la verità sull’omicidio. Dice: “Nel quartiere lo avvisarono di farsi i fatti suoi ma lui insistette. Lo fecero sparire insieme a suo cognato, lo portarono nella camera della morte di Sant’Erasmo dove scioglievano la gente nell’acido. Con il suo cadavere non ha funzionato, lo hanno buttato a mare, non l’abbiamo mai ritrovato. Sua moglie, incinta, si è lasciata morire qualche mese dopo”.
ei però decise di fare i nomi e pagò a caro prezzo: “Ai processi mi chiamavano spiona, avevo un bar con mio marito ma non venivano più clienti“. Tuttavia, conclude: “Sono orgogliosa di aver cresciuto i miei figli nella legalità, ora vado nelle scuole per far capire ai ragazzi di non essere succubi di ambienti pericolosi. Mai arrendersi, se sono riuscita a ribellarmi io negli anni 80, tutti possono farlo adesso senza paura“.