Per la prima volta una eminente rappresentante del mondo culturale-giornalistico sdogana, per un semplice articolo di politica, il famigerato elemento fonetico “ə”, ovvero lo Schwa. La protagonista in questione è Michela Murgia che in un articolo sull’ultimo numero dell’Espresso dedicato a Giorgia Meloni e al rischio di neo-fascismo in Italia utilizza per le desinenze “di genere” il linguaggio neutro dello “Schwa” con quella strana e ancora poco conosciuta “ə” che intende eliminare alla lunga la differenza di genere tra maschile e femminile.
Un linguaggio “inclusivo” che servirebbe a rispettare il genere che ognuno vuole “professare” e dichiarare, non distinguendo più la mera “binarietà” donna-uomo ma aprendosi alla cultura “politicamente corretta” del “gender fluid”. E così appare sulla rivista del gruppo GEDI già dall’inizio una frase del tipo, «Giorgia Meloni […] il grande equivoco del femminile scambiato per femminismo. Una donna a capo di un partito che affonda le sue radici nella tradizione fascista no solo non dovrebbe compiacere nessunə che abbia a cuore l’emancipazione femminile,e ma impone anzi di far scattare una serie di allarmi…». Al di là del contenuto stesso, ovvero utilizzare attenzioni di “genere” per andare a colpire chi come Giorgia Meloni quel genere – ricordiamo che Michela Murgia è scrittrice tra le più impegnate nel mondo del femminismo – lo incarna a livello politico (è l’unica donna leader in Italia), il nodo della questione è il linguaggio “corretto”.
LA GUERRA ALLE DESINENZE
Si fa la guerra alle desinenze pensando che solo con l’utilizzo della neo-lingua – ogni riferimento a George Orwell è scientemente voluto – si possa condurre in porto la battaglia sul genere e l’abolizione della “differenza sessuale”: si arriva però ad un’aberrazione dell’italiano e una continua “violenza” su parole, pronomi, termini e aggettivi, in una continua rincorsa a dimostrarsi più “corretti” degli altri con rischi culturali oltre che linguistici enormi. Massimo Arcangeli su “Libero Quotidiano” rimbrotta Murgia per «l’ennesimo parto impazzito, spacciato per buona pratica d’inclusione, di un politicamente corretto i cui fanatici pretendono di “neutrificare” la lingua senza avere la più pal- lida idea di cosa significhi scrivere o parlare»; sul “Fatto Quotidiano” invece Nanni Delbecchi osserva «è proprio sicura Michela Murgia che piazzare la “e” rovesciata per rendere neutre le desinenze e fare pari e patta tra maschile e femminile (termine tecnico schwa, vocale centrale media, che sarà pure italiano ma fa tanto swhaili) sia davvero un passo avanti per le magnifiche sorti e progressive della lingua?». Le battaglie di genere sono ben altre, importantissime e ancora necessarie (salari, permessi, tutele) e non è una “e” rovesciata a cambiare il mondo: anzi, lo sta già cambiando in parte con uno scontro ideologico-linguistico che punta ad eliminare ogni differenza pensando che questo risolva il problema delle discriminazioni. Ragioniamoci un secondo: in una famiglia qualunque, dove c’è affetto e rispetto e dove i singoli componenti si vogliono bene, ciò è determinato dall’assoluta indifferenza del genere degli stessi, da come scrivono, leggono e parlano, oppure per il semplice fatto di essere tutti figli o fratelli? L’emergenza globale è educativa, altro che “desinenziale” (che rischia di far rima con “demenziale”…).