COM’È MORTO MICHELE MERLO: LEUCEMIA FULMINANTE

Un anno dopo la morte di Michele Merlo non sono ancora chiare le eventuali responsabilità per il suo prematuro decesso. C’è un punto di domanda attorno a tutta la vicenda: Mike Bird poteva salvarsi? Neppure la nuova perizia disposta dal gip di Vicenza sembra affermare con certezza se una diagnosi corretta e tempestiva avrebbero potuto cambiare il destino del cantante morto a 21 anni, il 6 giugno 2021, a Bologna a causa di una forma di leucemia fulminante. Di certo, dunque, c’è solo il com’è morto l’ex allievo di Amici. La procura, dopo l’ultima relazione degli esperti che è stata discussa davanti ad avvocati e pm, deve decidere se rinviare a giudizio il medico di famiglia dell’artista, il dottor Pantaleo Vitaliano, l’unico indagato per omicidio colposo.



L’alternativa è la richiesta di archiviazione del caso. Era il 26 maggio quando Michele Merlo si rivolse al medico di famiglia di Rosà, nel vicentino, per mostrargli il grosso ematoma comparso sulla coscia destra. Ma per il medico di trattava di un livido frutto di uno strappo muscolare. In passato, il medico aveva spiegato che durante la visita il cantante gli aveva parlato di una contusione durante un trasloco, quindi questo racconto potrebbe averlo sviato. In ogni caso gli aveva dato un altro appuntamento nei giorni successivi.



MICHELE MERLO POTEVA SALVARSI?

Ma Michele Merlo dopo quella visita lasciò il Veneto. Quindi, il 2 giugno andò all’ospedale di Vergato, nel Bolognese, perché cominciava a star male. Neppure lì scoprirono che aveva una leucemia. Gli fu diagnosticata una tonsillite. Quattro giorni dopo morì all’ospedale Maggiore di Bologna, dove arrivò quando ormai era troppo tardi per salvarlo. Dopo la morte di Michele Merlo scattò l’inchiesta, prima quella di Bologna che ha scagionato i medici bolognesi, poi a Vicenza, dove il fascicolo è stato trasferito per competenza. Il legale della famiglia di Michele Merlo, l’avvocato Marco Antonio Dal Ben, ritiene che esista una «responsabilità colposa del dottor Vitaliano in termini di negligenza e imprudenza», perché il medico di famiglia avrebbe dovuto richiedere delle semplici analisi del sangue per arrivare alla diagnosi.



«Il tema del nesso di causa è invece spinoso, più difficile da ricostruire in termini di assoluta certezza». Quindi, se la diagnosi fosse stata corretta, e quindi la terapia fosse partita subito, l’esito forse sarebbe stato diverso. Forse, perché gli studi esprimono percentuali di successo differenti. «La nostra posizione, quello che noi pensiamo è che per le caretteristiche di Michele, giovane, in piena salute, forte, che ha avuto uno sviluppo veloce ma non instantaneo della malattia, il suo caso rientri tra quelli che si potevano salvare». Ma per il legale del medico di famiglia, l’avvocato Andrea Biasia, non lo si può dire con certezza: «Da una parte si ammette una sorta di non perfetta diagnosi, dall’altra si dice anche che se fosse stata tempestiva, la patologia era talmente fulminante che non si può dire con certezza che l’evento sarebbe stato scongiurato».