Michele Misseri, accompagnato nella sua casa di Avetrana da Quarto Grado dopo la scarcerazione, è tornato a ribadire la sua versione sulla morte della nipote Sarah Scazzi, avvenuta il 26 agosto 2010. Il racconto ha inizio dal garage, dove l’uomo quel giorno stava lavorando. “Il trattore quella mattina non partiva ed io ero arrabbiato. Non sapevo perché, l’elettrauto qualche giorno dopo mi avrebbe spiegato che bastava un colpo di martello alle spazzole. Sarah in quel momento è scesa, forse per chiedermi se poteva suonare o avrebbe disturbato la zia. Cosima e Sabrina infatti erano a riposare e il citofono era nella camera da letto. Mia moglie se l’era fatto mettere lì”, ha ricordato.
La quindicenne, come raccontato dai familiari, non era solita mai recarsi nel garage dello zio. In base alla ricostruzione di quest’ultimo, però, quella volta lo fece perché non aveva credito nel cellulare e non poteva fare uno squillo alla cugina, con cui si sarebbe dovuta recare al mare. “Io le ho detto di andarsene, poi l’ho sollevata dalle spalle. Non so se le ho fatto male sul seno. Lei a quel punto mi ha dato un calcio all’indietro nelle parti intime. Ho avuto un dolore alla testa e non ci ho più visto. Ho preso un pezzo di corda che era sul trattore e l’ho strangolata. Non ricordo come l’ho messa. Quando il suo cellulare ha iniziato a squillare, l’ho lasciata cadere. Gli inquirenti dicono che non è possibile che sono stato io, perché ho cambiato diverse versioni. Io ho detto tantissime cose diverse, ero imbambolato”, questa la sua ricostruzione.
Niente a che vedere con quella che ha incastrato Cosima Serrano e Sabrina Misseri. “I testimoni che ci sono stati sono falsi, sono usciti come formiche. Quel pomeriggio non c’era nessuno. Ci sono menzogne su menzogne”, ha ribadito. “Io quando Sarah è caduta per terra, per capire se era morta, le ho schiacciato gli occhi, ma non si muovevano più. È lì che mi sono reso conto. Le ho messo un cartone di sopra. Poco dopo è arrivata Sabrina, che mi ha chiesto se avessi visto Sarah. Era già morta in quel momento. Non volevo che la vedesse. Se fosse scesa in garage, avrebbe visto le ciabatte che stavano sulla rampa dello scivolo. Menomale che non è entrata. In quel momento ho fatto sparire tutto. Nessuno ci crede, ma in quei momenti è così”.
Michele Misseri: “Ho ucciso Sarah perché arrabbiato, il trattore non partiva”. Il racconto
Adesso proprio in quel garage degli orrori, Michele Misseri ha costruito un altarino con la foto di Sarah Scazzi, dei santini e dei fiori. “Quando io stavo lì da solo, cadevano delle cose dagli scaffali. Non c’era nessuno. Era l’anima di Sarah. Io mi rendo conto di essere un assassino, ma non avrei mai potuto immaginare che una cosa del genere sarebbe successa a me. Io non volevo neanche più vivere, mi stavo avvelenando il giorno in cui è successo il fatto. Non l’ho fatto perché sennò non avrebbero neanche più trovato il corpo”, ha rivelato.
“Io l’ho sognata molte volte in questi anni. La prima è stata quando l’ho buttata nel pozzo. La notte mi diceva ‘zio, ho freddo’. La mattina successiva dovevo andare a lavoro ma non l’ho fatto. Sono andato al pozzo, ho preso una corda per calarmi giù per tirarla fuori, ma era troppo stretto e non sono riuscito a entrarci. In un altro sogno io ero in Germania e scendevo le scale della metropolitana, lì la vedevo e la chiamavo, ma lei correva via senza fermarsi. Un’altra volta l’ho sognata mentre piangeva in Chiesa. Era come se fosse tutto vero. Aveva gli stessi vestiti del giorno della morte. I pantaloncini e la maglietta per il mare. Non credo che la sognerò da grande. La mia sensazione è che mi abbia voluto dire che mi ha perdonato, di non abbandonarmi. Gli altri però non mi hanno perdonato”, ha concluso.