Michele Misseri è l’unico dei condannati per il delitto di Avetrana, su cui Nove trasmette oggi un documentario, a tornare in libertà, eppure la prima cosa che ha dichiarato dopo aver lasciato il carcere è che meritava di restarci, visto che sarebbe stato lui ad uccidere la nipote Sarah Scazzi. In realtà, la verità giudiziaria è un’altra: la ragazzina è stata uccisa quattordici anni fa dalla cugina Sabrina e dalla zia Cosima Serrano, che l’uomo avrebbe solo aiutato per occultare il cadavere, motivo per il quale ha scontato 8 anni di reclusione. Il 70enne però continua a incolparsi dell’omicidio, suscitando l’indignazione della cognata Concetta, mamma della vittima, che nei mesi scorsi prima lo ha definito «pagliaccio» e poi ha aperto a un confronto con lui, anche privato, purché si metta un punto fermo sul delitto di Avetrana.



Non è chiaro se alla fine ci sia stato, comunque Michele Misseri dopo la scarcerazione non è subito tornato a casa, ad Avetrana: il suo legale ha parlato di «una certa antipatia» nei confronti del suo assistito da parte di alcuni «personaggi». Da qui la decisione di fermarsi in una località segreta: a nulla è servita, dunque, l’ordinanza del sindaco, che in via precauzionale aveva deciso di chiudere il traffico di via Deledda.



“MICHELE MISSERI DIPENDENTE PSICOLOGICAMENTE DALLA MOGLIE”

Non ha dubbi sull’estraneità di Michele Misseri al delitto di Avetrana la criminologa Roberta Bruzzone, secondo cui la versione giusta è quella in cui accusa la figlia Sabrina. Intervistata dopo il ritorno in libertà dello zio della vittima, ha spiegato che non ci sono dubbi sulla vicenda, perché gli elementi raccolti dagli inquirenti sono molti: dalle dichiarazioni dei testimoni alle intercettazioni, fino alle stesse dichiarazioni di Michele Misseri, che non ha mai saputo dare una versione coerente sullo strangolamento della nipote.



Roberta Bruzzone, che aveva querelato Michele Misseri all’epoca per calunnia e diffamazione, in quanto al gup, in fase dibattimentale, accusò la criminologa e l’avvocato di aver provato a convincerlo ad accusare la figlia Sabrina, circostanza smentita dagli atti, ritiene che l’uomo abbia una «dipendenza psicologica assoluta verso la moglie», perché quando rivelò dove aveva nascosto il corpo di Sarah Scazzi, la sua preoccupazione era che la moglie non scoprisse che lo stava rivelando, non le conseguenze del suo racconto: per la Bruzzone non è l’atteggiamento di chi voleva nascondere il delitto di Avetrana, ma di qualcuno che aveva paura di svelare un «segreto di famiglia».