Michele Padovano: “Pensavo fossi su Scherzi a parte”

Michele Padovano, ex calciatore della Juventus, è stato per diciassette anni al centro di un procedimento giudiziario terminato con l’assoluzione. Fu accusato di avere un ruolo nell’organizzazione a delinquere che gestiva lo spaccio di hashish. A Il Giornale, l’ex attaccante ha raccontato quel maggio 2006: “Ricordo le modalità davvero assurde con cui venni condotto in questura, come se fossi l’Escobar italiano. E dopo le impronte digitali venni immediatamente trasferito nel carcere di Cuneo. In isolamento. Ricordo bene che quando venni prelevato da casa e condotto in questura, pensai che fosse tutto uno scherzo. O almeno lo sperai fortemente”.



L’ex calciatore ha pensato di essere stato oggetto di uno scherzo: “Erano gli anni in cui Scherzi a parte aveva preso di mira i calciatori. Allora pensai ad uno scherzo architettato ben bene, ma una volta entrato in questura e prese le impronte, capii che era tutto vero. Giuro che sperai tanto che si trattasse di uno scherzo“.



Michele Padovano: “L’arresto fu fisicamente e mentalmente devastante”

Per Michele Padovano, “È stata durissima” anche a livello fisico, come raccontato a Il Giornale. “A Cuneo mi misero in isolamento per 10 giorni. Senza doccia, in condizioni terribili. In seguito, acquisita l’ordinanza, iniziai a leggerla attentamente. Anzi la studiai a memoria e più la studiavo, più mi rendevo conto dell’errore sulla mia figura. Dopo quei 10 giorni atroci di Cuneo, venni trasferito a Bergamo per 3 mesi. Fisicamente fu devastante“. Anche psicologicamente lo fu: “La mia fortuna sono state la consapevolezza di essere innocente e la forza del mio carattere. Sono un combattente, non ho mai mollato in campo e non potevo certo mollare in quel momento. Come detto, studiai attentamente l’ordinanza del mio arresto, e decisi che dovevo combattere fino alla fine per dimostrare la mia innocenza e non ho chiesto il rito abbreviato, che mi avrebbe garantito sconti di pena, io volevo l’assoluzione piena perché ero innocente”.



Dopo la sentenza di assoluzione, per l’ex attaccante è stata una grandissima emozione: “Ho pianto, ma ho provato anche una gioia immensa. Parliamo di diciassette anni di vita, durante i quali sono accadute tantissime cose. Mio padre non c’è più…”. La moglie non lo ha mai abbandonato, nonostante le voci sul suo conto: “Devo tutto a mia moglie Adriana. È lei che ha reso possibile che io continuassi ad essere marito e padre di Denis. La famiglia è tutto nella vita”. A rimanergli vicino, anche Vialli: “Luca telefonava sempre a mia moglie quando ero in carcere. Eravamo amici, molto amici. La mia scelta di andare a Londra al Crystal Palace fu determinata dal fatto che lui era lì. Con lui se n’è andato un pezzo di me”.