Dopo aver vestito (solamente al cinema) più di 100 abiti diversi, con una 30ina di parti in televisione, una dozzina di pellicole filmate e centinaia di nomination, il nome di Michele Placido è sicuramente tra quelli più importanti del grande e del piccolo schermo italiano: classe 1946, si è raccontato in una lunga intervista per il Fatto Quotidiano in occasione del 50enario della pellicola che l’ha consacrato agli annali cinematografici, ovvero quel ‘Romanzo popolare‘ firmato da Mario Monicelli. Tornando al 1947 (l’anno della pellicola) Michele Placido ricorda (forse con affetto) che era “un ragazzo che veniva da Foggia, che aveva vissuto momenti di difficoltà economica e con la famiglia che premeva perché tornasse al paese per poi sistemarsi grazie a un posto fisso”.
Fu proprio, racconta ancora, “Romanzo popolare [a] cambiare tutto“. Lui, d’altronde, era uno studente da poco cacciato dall’Accademia perché “era la fase del ’68 e [la] occupammo, ci mettevamo d’accordo per cambiare le battute direttamente sul set”. Così, da attore mezzo fallito, decise di entrare in polizia (forse per accontentare i suoi genitori che volevano il posto fisso), e al primo provino Monicelli, racconta ancora Michele Placido, gli chiese “raccontami la tua storia: è vero che sei stato poliziotto?”, rispose e raccontò “degli scontri a Valle Giulia, di quando è suonata la trombetta che significava ‘carica’” e lui aveva degli ordini da eseguire: proprio caricare quegli studenti che gli lanciarono “tutto, dalle monetine agli sputi”.
Michele Placido: “Eravamo tutti innamorati di Ornella Muti”
Saltando avanti al set di ‘Romanzo popolare’ ricorda che il primo giorno “trovo Ugo Tognazzi: mi sentivo un po’ a disagio”, ma grazie a Monicelli riuscì a mantenere le calma e di quell’esperienza illustre ricorda (soprattutto) “Ornella Muti nei panni di Vincenzina che aspetta il marito fuori da quella fabbrica”. Parlando della collega Michele Placido ricorda che “dopo un mesetto mi sono accorso che lei mi guardava con grande simpatica” e decise di cogliere la palla al balzo: “Ho provato ad abbracciarla e lei mi ha mollato uno schiaffone sul viso accompagnato da un ‘come ti permetti'”.
“Sul set”, ricorda ancora, “era tutti innamorati di lei, tutti a farle la corte, compreso Carlo Vanzina che le mandava le rose, mentre Tognazzi usava me come termometro per capire se cedeva”. Lo stesso Jannacci, continua Michele Placido, era “preso, per questo Vincenzina e la fabbrica è una canzone così carica di sentimento”. Divagando, infine, sulla figura del regista Monicelli in sé, ricorda che “gli ero simpatico perché vero” e gli ha permesso, con ‘Romanzo popolare’, di entrare “nel cinema importante, nell’Olimpo”, ma anche di prendere parte al suo ultimo film, ‘La rosa nel deserto’: “Aveva 90 anni, il set era estremo [e da contratto] lo avrei sostituito in caso di morte”, non mancarono gli attriti, ma “nei momenti in cui era stanco la soluzione era sempre prendere in giro Alessandro Haber. Lo massacrava, era la sua vittima preferita”.