A Storie Italiane si torna a parlare del doloroso caso di Michele Ruffino, il giovane 17enne suicidatosi a febbraio del 2018. La mamma, la signora Maria Catrambone Raso, in studio: “Il caso è stato archiviato perchè non sono stati sentiti i bulli e la scuola. Il giudice ha detto che le indagini non sono state fatte bene dall’inizio. Mi son trovato questo bel regalo, oltre al danno anche la beffa”. Poi ha proseguito: “I problemi del bullismo sono iniziati in terza media, gli sputavano addosso e i prof non so dove fossero, ho sempre denunciato alla scuola. Il suo grande sogno era diventare pasticciere, si è iscritto all’alberghiero di Torino, pensando che cambiando scuola sarebbe finito tutto e invece la cosa è andata sempre a peggiorare. Gli dicevano che non doveva nascere, che era anoressico, handicappato, che doveva morire, poi il discorso dei gay”.



La mamma di Michele Ruffino ha proseguito nella sua denuncia: “Io ho fatto da subito in caserma i nomi di ragazzi e ragazze, ho sempre denunciato, ho portato i bulli in presidenza, ma mi son sempre sentita dire che i problemi erano di mio figlio, e che erano solo ragazzate, cavolate: le solite frasi. Quando è morto ci hanno detto che non sapevano nulla del suo dolore e del suo disagio, ma noi lo abbiamo sempre urlato in quella scuola”.



MICHELE RUFFINO, LA DENUNCIA DELLA MAMMA: “MI SONO RIVOLTA ANCHE

La mamma di Michele Ruffino ha provato anche un percorso psicologico: “Mi sono rivolta ad una psicologa, e anche io facevo delle sedute con lei. Mi sono accorta che Michele andava lì ma non si apriva del tutto. Io mi raccomandavo con una dottoressa: ma dove dovevo rivolgermi più che parlare con una psicologa per fare questo percorso assieme? Appena ho visto le foto dei tagli, l’ho subito denunciato, ma mi sono sentita dire che Michele era un ragazzo molto sensibile e che era l’età, ma ogni ragazzo è un caso a se. E’ possibile che i prof nella scuola non si siano mai accorti di questo dolore e malessere? Ho fatto le indagini da sola, perchè non approfondire queste prove che ho portato?”. Parole che purtroppo non trovano risposte.

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