Michele Santoro è stato il protagonista di una recente intervista per il quotidiano Gazzetta del Mezzogiorno al quale ha parlato del suo nuovo libro dal titolo “Nient’altro che la verità”, concepito insieme a Guido Ruotolo. “Non è stata una scelta, ma una condizione in cui mi sono trovato: avevo tra le mani una storia importante e non avendo una trasmissione televisiva ho scritto un libro”, ha commentato. Il suo libro nasce da una riflessione sulla figura del superlatitante Matteo Messina Denaro e sull’evoluzione della mafia. Secondo Santoro Messina Denaro “è uno dei primi ad aver compreso l’importanza del digitale e ad aver familiarizzato con gli strumenti informatici”. Sue tracce si troverebbero in alcuni affari “nuovi” come l’eolico. L’atteggiamento del superlatitante evidenzia un altro aspetto saliente, ovvero il modo in cui Cosa nostra è mutata nel tempo: “La mafia non è più quella degli anni ’80 e ’90; ha assunto altre forme. Quali? Ho parlato con diversi investigatori, ma non lo sanno. Il libro vuol far nascere una riflessione di questo tipo: è urgente tornare a parlare di mafia, capire in cosa si è trasformata”, dice.



A Messina Denaro, prosegue ancora il giornalista, è legato anche Maurizio Avola, il pentito di Mafia che si accusa dell’attentato a Borsellino ed il cui racconto trova spazio proprio nel libro di Santoro: “Il suo è un racconto preciso dei fatti, in particolare della strage di via D’Amelio in cui morì il giudice Paolo Borsellino e la sua scorta”. Avola avrebbe raccontato prima ai magistrati e poi alla coppia Santoro-Ruotolo la sua presenza sul luogo della strage.



MICHELE SANTORO, IL LIBRO: COSA PENSA DELLA GESTIONE DELLA PANDEMIA

Le polemiche sul nuovo lavoro di Michele Santoro non sono mancate e non hanno sorpreso affatto lo stesso giornalista che spiega alla Gazzetta del Mezzogiorno come il suo intento sia quello di aprire ad un interrogativo saliente: cosa è diventata la mafia? A suo dire, “gli strumenti in campo per combattere la “nuova” mafia sono vecchi, risalgono alla cultura dell’emergenza degli anni ’80 e ’90”. Se fosse così, Santoro auspica che le forze dell’ordine abbiano gli strumenti giusti per combatterla. “Per non parlare della mafia che si traveste da anti-mafia”, aggiunge. Con Samarcanda, Santoro sostenne la lotta alla mafia. Ma oggi il giornalista riconosce l’errore commesso sia da lui che da Falcone: “Io e Falcone commettemmo due errori di valutazione. Il magistrato ritenne che la sua onestà, la sua trasparenza, fossero sufficienti a sferrare il colpo decisivo a Cosa nostra; io pensavo che Cosa nostra e i partiti di governo costituissero un blocco organico”, ha commentato.



Oltre all’argomento mafia, Santoro ha affrontato anche quello legato alla pandemia ed il modo in cui sia stata gestita l’emergenza: “Le istituzioni politiche hanno gestito la pandemia concentrando potere”. In merito ha commentato: “Sin dall’inizio della pandemia bisognava chiedere alla società di reagire”. Il suo è un discorso critico: “Tutta questa esibizione della bravura degli italiani nel gestire la pandemia non mi convince quando poi ci sono realtà, come la Calabria, dove la sanità è un disastro. Il generale Figliuolo è bravo, ma non combattiamo una guerra. A me dà fastidio l’idea che i cittadini debbano ubbidire agli ordini”. Le maggiori critiche le rivolge non direttamente a Draghi, che definisce “personaggio di grande spessore” bensì partiti attorno a lui che per il giornalista sarebbero l’opposto. Ed in merito ad un ipotetico ritorno in tv, chiosa: “Ci sto pensando, ho qualcosa in mente, ma se torno devo fare a modo mio”.