Il refrain negli ambienti radical-chic della sinistra “bene” è ormai lo stesso: «che fine ha fatto la mia Repubblica?». Dopo la rivoluzione voluta dai nuovi editori della Famiglia Agnelli-Elkann, ovvero la cacciata di Carlo Verdelli e l’arrivo di Maurizio Molinari dalla Stampa, si è assistito ad una vera e propria diaspora di alcune firme storiche del quotidiano di Largo Fochetti a Roma. In primis Enrico Deaglio e Gad Lerner (andato al Fatto), ma con potenziali nuovi addii eccellenti nelle prossime settimane, specie quando dovesse sbarcare effettivamente su piazza il nuovo quotidiano di Carlo De Benedetti, lo storico ex editore del gruppo GEDI: oggi però Michele Serra, firma de la rubrica “L’amaca” su Repubblica, difende la sua scelta e quella degli altri “big” di Rep non solo di restare ma di non doversi vergognare del loro quotidiano anche se ha cambiato editore e parte della linea politica. Rispondendo ad un lettore che chiede esplicitamente perché non se ne fosse andato dalla nuova Repubblica,



Serra replica «pretendo rispetto – non un grammo di meno dell’identica stima per la scelta di Deraglio e Gad Lerner – per chi ha scelto di rimanere in un giornale che considera casa propria, punto di riferimento per un numero di lettori ancora importante nonostante la crisi dell’informazione». Da Mauro a Scalfari, passando per Augias, Aspesi, Recalcati, Saviano e tanti altri, Michele Serra pretende rispetto per chi resta in Repubblica e prosegue nel consueto lavoro di giudizio e informazione: «Ha prevalso l’opzione “Repubblica siamo noi”, che prevede di continuare a fare il nostro lavoro come l’abbiamo sempre fatto, e dunque di confrontarci con Maurizio Molinari nello stesso identico modo con il quale ci siamo confrontati con i precedenti direttori».



MICHELE SERRA “OLTRE A REPUBBLICA? LA PENSIONE…”

Per Michele Serra, il nuovo direttore Molinari non solo non è un invasore ma sarà sempre «il nostro primo interlocutore», cosa che non è avvenuta finora completamente nei primi mesi convulsi alla guida di Repubblica. «Spetterà a lui conquistare sul campo, oppure no, la fiducia dei giornalisti e dei lettori. Sa benissimo di trovarsi di fronte a una platea consolidata e agguerrita. Molti temi, soprattutto di politica internazionale, saranno occasione di acceso dibattito», prosegue l’autore de L’amaca, rivendicando un giornale che a sua detta «non è mai stato giornale di partito» e quindi deve ospitare diverse voci opposte. Sul caso prestito Fca si è alzato un polverone contro i quotidiani degli Elkann ma qui Serra difende l’intera linea: «Nessuno ha mai pensato che “lavorare per gli Agnelli” abbia significato, per loro così come per altri, vendere l’anima, o come direi al bar, il culo. Chiedo a voi lettori, con una certa decisione, mettendo sul piatto anche il mio quasi mezzo secolo  di reputazione, di non pensarlo adesso. Giudicate il giornale da come sarà fatto. Se non vi piace più, trovatene uno migliore, ne avete facoltà».



In conclusione, Michele Serra aggiunge una piccola ma significativa nota personale: «Non saprei su quale altro giornale scrivere per due ragioni fondamentali. La prima è che non ne conosco altri che mi siano ugualmente familiari, e idealmente vicini», ma soprattutto che ad oggi «nessuno mi ha chiamato per propormi alcunché, e questo mi fa sperare che, a quasi sessantasei anni, nel caso venisse meno il mio lavoro di giornalista potrò serenamente invecchiare dedicandomi alla letteratura, al teatro e all’agricoltura. Quanto mi basta, ampiamente, per campare, e soprattutto per essere felice».