Com’è una ragazza di periferia? Così hanno definito le amiche Michelle Causo,17 anni, uccisa a coltellate da un coetaneo. I sottintesi possono essere molti, e tanti ne aggiungeremmo noi, con alcuni pregiudizi. Immaginiamo vite complicate, e quella di Michelle lo era, ci dicono i primi riscontri. Genitori separati, capita spesso, viveva con mamma zia e nonno, poi da un mese, pare, si era trasferita in casa del suo assassino, “ma non erano fidanzati”. Lui, pare, dice che gli doveva 40 euro… si può morire per 40 euro?
Una ragazza di periferia, a Primavalle, quartiere difficile di Roma, noto alle cronache per un delitto orribile, negli anni durissimi in cui i giovani si ammazzavano per motivi politici. Casermoni, traffico, colonie di immigrati, qualche bar per ritrovarsi con gli amici, per scambiarsi le canne e organizzarsi in bande, perché la solidarietà si fa branco, e il branco difende i suoi.
Non questa volta: nessuna delle sue amiche aveva intuito che quel ragazzo che diceva di “volerle bene” fosse pericoloso. Una ragazza di periferia significa che si fatica a vivere bene, ma i sogni, le ambizioni, e l’allegria di un’adolescente condivisa sono quelli di tutti. Normale. I video su TikTok, per evadere e sentirsi uguale a tutti, normale. Andava a scuola, un liceo psicopedagogico diventato presidio unico di formazione, inclusione, legalità. Michelle come tante ragazze di periferia era sveglia, “si applicava poco”, direbbero i registri di classe, rispondeva a tono, qualche volta spariva dalla classe per saltare i compiti, le interrogazioni. Normale. I professori stentano a star dietro alle vite complicate, nascoste dall’omertà, dalla vergogna, perché sono troppe: sono studenti e studentesse soprattutto, che incrociano Dante e Manzoni, ma poi lavorano quasi tutti i pomeriggi, o le sere, per aiutare la famiglia o quel che le assomiglia. Che la cena di classe la organizzano in pizzerie fuori porta, dove costa meno, che abitano nella Città eterna ma vedono i fori la prima volta nella gita scolastica: il quartiere diventa ghetto, e protezione. Ci si conosce, si vivono storie simili, che tra simili s’incrociano.
Periferia significa girare intorno, spesso a vuoto, senza sbocchi, senza tutele, con rassegnazione o rabbia. Eppure dalle periferie si esce, e la scuola è la strada, i maestri la guida, per inventarsi un altro modo di vivere e dar corpo ai desideri. Non sappiamo (ancora) perché questa brunetta dagli occhi profondi e già adulti abbia perduto la sua giovinezza in un pomeriggio d’estate, gettata in un carrello del supermercato. Ennesimo femminicidio, si dirà. Qui c’è di più, perché anche il suo assassino è un ragazzo di periferia. Nulla giustifica, perché il male si sceglie, ma nelle periferie, abbandonate e sconosciute, i lupi hanno più spazio e habitat. C’è bisogno di pastori accorti, per stanarli e magari ammansirli. Non bastano l’indignazione di un giorno, la fiaccolata e i palloncini bianchi al funerale. Perché nessuno si rassegni di essere un ragazzo diverso, predestinato, se viene dalla periferia.
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