Non mancano gli ostacoli per il premier Mario Draghi sul percorso di riforme per cambiare l’Italia. Uno però non solo è il più delicato, ma anche quello che potrebbe far traballare il Governo. Ci riferiamo alla giustizia, tema su cui diversi esecutivi sono stati “affossati”. A dirlo è Paolo Mieli, ex direttore del Corriere della Sera e già presidente di Rcs, secondo cui Draghi rischia di essere preso di mira dai pm se interviene sul nodo giustizia. «Non faccio previsioni e non ho notizie inedite da svelare. Mi limito a osservare l’insegnamento della storia recente del paese. Negli ultimi trent’anni non c’è stato governo, soprattutto se aveva una immagine forte, che non abbia avuto problemi con il sistema della giustizia», ha dichiarato il giornalista in un’intervista rilasciata a Radio24.



Mario Draghi si è impegnato a metter mano alla giustizia, non a caso ha affidato il ministero a Marta Cartabia, ex presidente della Corte costituzionale. Qualcosa però bolle in pentola secondo Paolo Mieli, che a questo punto ha tirato in ballo Il Fatto Quotidiano, diretto da Marco Travaglio, «un giornale molto caro alla magistratura più militante».



“RIFORMA GIUSTIZIA? ATTENZIONE A TRAVAGLIO”

«Vedo che un giornale come il Fatto Quotidiano è schierato dalla parte degli scissionisti, dice tra le righe che Grillo si è rimbecillito e che quelli che hanno votato a favore del governo si sono accomodati», la premessa di Paolo Mieli a Radio24. Per il giornalista questa «sarebbe una forma di libera espressione giornalistica se non sapessimo che il Fatto è un giornale molto caro alla magistratura più militante». I precedenti non mancano e lo stesso giornalista li ha ricordati. «Di fatto ogni tipo di governo ha avuto problemi con magistrati più o meno combattivi. Non c’è stato neppure bisogno di prendere di mira il presidente del Consiglio». Ad esempio, ha citato il caso del 2008, con il meccanismo che portò alla caduta di Romano Prodi: «Fu innescato dall’inchiesta contro Clemente Mastella, ministro della Giustizia, e sua moglie». I segnali sono chiari e quindi possono essere previsti secondo Mieli. Prima il potere giudiziario risponde in maniera risentita tramite gli organi ufficiali. «Poi qualche pm di qualche parte d’Italia parte con un’inchiesta», sicuro di avere l’appoggio della categoria. «Non c’è un’organizzazione, non ci sono ordini dall’alto, ci sono però degli automatismi. Come poi vada a finire l’inchiesta, magari dieci anni dopo, è del tutto irrilevante».



“GIUSTIZIA E ATTACCHI PM, ECCO COME FUNZIONA”

Paolo Mieli ha poi precisato a Radio24 di non riferirsi ovviamente a tutti i magistrati, ma alla «magistratura più militante». Perché, a detta del giornalista, sono loro ad aver «condotto le danze» in questi anni. Il clima, però, rispetto al passato è peggiorato. «Tutto è reso più delicato dal momento difficilissimo che vive la giustizia, grazie anche al fatto che il Consiglio superiore della magistratura non abbia affrontato nei dovuti termini il caso Palamara». I problemi però non vengono affrontati, anzi «con questo Csm terremotato ogni cosa è possibile». In questo quadro si inserisce il premier Mario Draghi, che rischia di essere preso di mira dai pm se interviene sulla giustizia, secondo Mieli. Il giornalista non è esplicito, ma il riferimento al caso Mastella è eloquente. «La ribellione di un nutrito gruppo di 5 Stelle e l’appoggio evidente del Fatto Quotidiano sono campane che mandano un suono distinto e che si sente bene. Chi vivrà vedrà. Dì sicuro, dalle parti della magistratura militante sta ribollendo qualcosa».