BERLUSCONI, IL ’94 E L’AVVISO DI GARANZIA: LO SCOOP (TARDIVO) DI PAOLO MIELI
Dicembre 1994, pochi mesi dopo la clamorosa vittoria alle Elezioni post-Tangentopoli, Silvio Berlusconi riceve un avviso di garanzia mentre si trovava impegnato a Napoli per un vertice del G7. Da lì nulla sarà più come prima, sia per la politica italiana sia per la giustizia e il rapporto “privilegiato” con la figura di Silvio Berlusconi. Ebbene, oggi dopo scomparsa dell’ex Premier, è il giornalista del Corriere della Sera Paolo Mieli a rivelare come andò realmente quello “scoop a orologeria” che diede il via a 30 anni di processi e inchieste contro il leader di Forza Italia.
Mieli ha parlato allo Speciale La7 sulla morte di Berlusconi con Enrico Mentana che incalzava sul tema centrale dei processi contro la politica: «Tra 50 anni qualche storico s’interrogherà sul fatto che, tra tantissimi processi, ha subìto una sola condanna», sottolinea prima di tutto Mieli sulle vicende giudiziarie del Cavaliere. Ma è in particolare su quel primo avviso di garanzia (per l’indagine della Guardia di Finanza su un presunto caso di corruzione) pubblicato in anteprima dal “Corriere” nel ’94 che si interroga Paolo Mieli: «Anche io vivevo nella retorica di Mani Pulite. Quella cosa insinuò per la prima volta un dubbio che mi è rimasto, lo dico nel giorno della morte di Berlusconi, di avere fatto una cosa che non è tutta luccicante». Quello scoop clamorosa non fu mai chiarito fino a ieri sera, quando Mieli ha rivelato che la notizia arrivò direttamente a lui ben 8 ore prima che Berlusconi ricevette l’avviso di garanzia dai carabinieri a Napoli. E gli arrivò direttamente dalla Procura di Milano.
MIELI: “I PM DI MILANO NON MI HANNO POI MAI INTERROGATO SU QUELL’AVVISO DI GARANZIA DI BERLUSCONI…”
Se Mieli fosse poi stato interrogato dai giudici che indagano su Berlusconi avrebbe dovuto chiarire quel tema dell’avviso di garanzia arrivatogli “di sfroso” ma il giornalista non venne mai sentito in merito: anticipando alle due del pomeriggio l’orario in cui gli arrivò la notizia in quel dicembre 1994, Mieli di fatto esclude qualunque altra pista possibile, a partire da quella sempre sostenuta dalla Procura che indicava invece in Berlusconi o nel suo entourage la “fonte” del “Corriere della Sera”. Alle ore 14 gli unici fino a quel momento che potevano sapere di quell’indagine erano il procuratore di Milano Francesco Saverio Borrelli e i suoi collaboratori. «interrogato su quella fuga di notizie? Mai, i magistrati che indagavano non ritennero mai di chiamarmi e di chiedermi alcunché. È veramente strano», spiega Mieli nello Speciale La7 in vista dei funerali di Stato che si celebreranno oggi in Duomo alle ore 15.
«Non volevano interrogarmi perché sapevano già chi mi aveva dato la notizia? Detto in modo molto brutale è così. Non volevano sentire la mia versione. I miei avvocati mi hanno spiegato che potevo rifiutarmi di rispondere, io invece avrei risposto molto volentieri perché ci fu una cosa che mi diede molto fastidio, misero in giro la voce che a darci la notizia fosse stato Berlusconi perché in quell’atto mancava una cosa», racconta ancora Mieli a Enrico Mentana. «Questo mi fece andare su tutte le furie – aggiunge – perché io sapevo come era andata, non lo dirò qui fino in fondo ma solo che avevo saputo di quell’atto e conosciuto i suoi termini alle due di pomeriggio. Quindi l’unico posto da cui poteva essermi arrivato era il palazzo di giustizia di Milano». Quella mancata indagine sul perché ben 8 ore prima qualcuno dal Palazzo di Giustizia milanese avesse avvertito il “Corriere” «mi ha sempre insospettito, non mi chiamarono i giudici di Brescia, e nessuno di quelli del pool Mani pulite, con cui avevamo rapporti, mi avvicinò per chiedermi di capire come era andata, per sapere se era stato un loro collega, visto che se veniva dal palazzo di giustizia qualcuno doveva essere stato». Mieli i nomi non li fa neanche oggi e dice di non essersi sentito utilizzato, eppure – conclude – «c’è un conto che non torna, qualcosa che non andava. E prima o poi lo scoprirò». Se alle parole di Mieli ci aggiungiamo quelle del rivale storico di Silvio Berlusconi, ovvero Massimo D’Alema, si può ben intuire come il rapporto tra giustizia ed indagini sull’ex Premier non furono quantomeno “limpidissimi”: «Berlusconi ha avuto ragione su alcuni magistrati e ha avuto probabilmente ragione nel ritenersi perseguitato da alcuni giudici».