Per ridurre il numero di rifugiati e mitigare l’emergenza migranti, l’Unione europea punta tutto sui trattati con i Paesi del Mediterraneo. Infatti, l’accordo con la Tunisia è ritenuto il modello da seguire, ma ora emergono dubbi sul fatto che sia stato concluso legalmente. Ne parla Süddeutsche Zeitung, segnalando che l’accordo potrebbe essere nullo in quanto non è stato sottoposto ufficialmente prima al Consiglio degli Stati membri. Facciamo un passo indietro. L’accordo con la Tunisia prevede aiuti economici e cooperazione in settori quali il trasporto aereo, il commercio e la transizione energetica. L’obiettivo è stabilizzare a lungo termine il Paese in difficoltà economica e a combattere le cause dell’esodo. Oltre 100 milioni di euro sono stati versati immediatamente per aiutare le autorità tunisine a porre fine ai contrabbandieri e prevenire così la migrazione irregolare verso l’Europa.
Ma l’accordo prevede anche il rimpatrio degli immigrati irregolari che soggiornano in Tunisia verso i Paesi africani di origine. Inoltre, la Commissione europea assicura che sta facendo pressione sulle autorità tunisine affinché non vengano commesse altre atrocità durante queste deportazioni, come accaduto a luglio al confine con la Libia. Nell’Ue c’è, dunque, l’intenzione di usare questo accordo come modello per i trattati con altri Stati del Nord Africa, prima con il Marocco e soprattutto con l’Egitto, che sta affrontando una devastante crisi del debito. L’Ue teme quindi sconvolgimenti economici che porterebbero ancora più persone a fuggire. Il problema, spiega il giornale tedesco, è che l’accordo con la Tunisia probabilmente non andava firmato in quella forma e poi non è stato sottoposto prima ufficialmente al Consiglio degli Stati membri.
IL NODO DELL’ACCORDO CON LA TUNISIA
Secondo diverse persone che hanno familiarità con il dossier, citate da Süddeutsche Zeitung, un diplomatico tedesco ha dichiarato che le azioni della Commissione europea e l’abbandono delle procedure ufficiali erano assolutamente inaccettabili. Una dozzina di Stati membri, tra cui la Francia, si sono uniti alle critiche. Il quotidiano Die Zeit ha riportato per primo il disappunto la settimana scorsa, citando documenti interni del Ministero degli Esteri tedesco. Secondo i diplomatici, l’irlandese Emer Finnegan, capo del servizio giuridico del Consiglio, era d’accordo.
La Commissione avrebbe dovuto seguire le procedure ufficiali per gli strumenti non vincolanti. Queste stabiliscono che il Consiglio debba approvare tali accordi prima di poterli firmare. Non avendolo fatto, la Commissione potrebbe aver oltrepassato i suoi poteri e violato il Trattato Ue. Infatti, l’articolo 16, paragrafo 6, del Trattato stabilisce che il Consiglio «conduce l’azione esterna dell’Unione secondo gli orientamenti strategici definiti dal Consiglio europeo».
TRATTATO UE VIOLATO? IL PRECEDENTE
C’è anche un precedente. Nell’autunno 2013 la Commissione aggirò il Consiglio. La Croazia era diventata membro dell’Ue e la Commissione concluse un accordo con la Svizzera, affinché il denaro svizzero affluisse anche a Zagabria. Il Consigliò citò in giudizio la Commissione ed ebbe ragione. La relativa sentenza della Corte di giustizia europea (C-660/13) del luglio 2016 fu chiara: «Non si può ritenere che la Commissione sia stata autorizzata, nell’ambito del potere di rappresentanza esterna conferitole dall’articolo 17, paragrafo 1, del TUE a firmare un accordo non vincolante risultante da negoziati con uno Stato terzo». Il fatto che il contenuto di tale accordo fosse «conforme al mandato negoziale conferito dal Consiglio» non era comunque sufficiente perché la Commissione potesse firmare tale atto non vincolante senza la previa autorizzazione del Consiglio.
La decisione fu, quindi, annullata. La procedura prevede che, prima di firmare o adottare un accordo non vincolante, «il negoziatore deve inviare il progetto di atto giuridico al Consiglio insieme a una lettera di accompagnamento», si legge nel documento pertinente del dicembre 2017. Questo deve avvenire almeno cinque settimane prima della firma, «tranne in casi di urgenza debitamente giustificati». La fretta da parte della Commissione Ue di chiudere l’accordo era evidente, resta da capire se fosse urgente.