I russi sostituiscono i soldati dell’ormai disciolto Wagner Group con quelli dell’Africa Corps. Inviano uomini e materiale militare nel porto di Tobruk e nelle basi della Libia e usano la Cirenaica come punto di appoggio per il passaggio del personale e delle armi in Niger, Mali, Burkina Faso e Repubblica Centrafricana, i Paesi con cui hanno stretto accordi economici e sulla sicurezza. Un attivismo che, però, non significa per forza legami più stretti con Haftar, il leader della Cirenaica, che pur rispettando gli accordi presi con Mosca sta facendo addestrare le sue forze addirittura dagli irlandesi, segno di rapporti non così idilliaci con Putin. Gli interessi della Russia in Libia riguardano il petrolio, anche se non dovrebbero collidere con quelli dell’Italia, che con l’ENI mantiene forte la sua presenza nell’area.



Per Roma e Bruxelles, spiega Vincenzo Giallongo, generale dei Carabinieri in congedo con al suo attivo missioni in Iraq, Albania, Kuwait e Kosovo, sarebbe meglio una Libia unificata, magari federando Tripolitania e Cirenaica, ma le divisioni attuali e la presenza dei russi non dovrebbero intaccare più di tanto gli affari italiani. Diverso è invece il discorso con la Tunisia: il presidente del Consiglio Giorgia Meloni oggi incontra il presidente Kais Saied e sul tavolo ci sono le questioni non del tutto risolte relative all’immigrazione e agli aiuti promessi a Tunisi dall’Europa. Il memorandum con la UE e il recente Patto sui migranti che l’Unione Europea sta varando sulla carta dovrebbero aver cambiato la situazione. In pratica Saied, il cui Paese naviga ancora in acque economicamente difficili, vuole il sostegno promesso per uscirne. Senza il quale i flussi migratori, che proprio dalla Tunisia sono diminuiti, potrebbero riprendere ai ritmi precedenti.



Generale, la presenza militare dei russi in Libia e nell’Africa subsahariana comincia a diventare preoccupante?

Putin, dopo la morte di Prigozhin, ha voluto togliere sempre più autonomia alla Wagner, offrendo ai soldati di entrare nella Redut, un’altra compagnia paramilitare. Vuole sostituirla anche in una zona fondamentale come quella libica, crocevia fra l’Europa, l’Asia e l’Africa. Non credo che Putin voglia andare oltre questo, perché il suo rapporto con Haftar si è un po’ allentato, tanto è vero che lo stesso Haftar sta facendo addestrare il suo personale da mercenari irlandesi: è gravissimo, perché sono ex soldati, qualcuno ancora in servizio, che vanno ad addestrare militari di altri Paesi senza nessun accordo, tanto più che lo fanno in una nazione divisa in due, con il governo di Dbeibah a Tripoli (legato alla Turchia) e, appunto, quello che fa capo ad Haftar in Cirenaica, che ha legami con la Russia.



La presenza dei russi è un impedimento a ritrovare l’unità della nazione?

Secondo me, bisogna andare verso una divisione territoriale della Libia. O si rischia una guerra per vedere chi delle due fazioni deve governare, oppure si va verso una divisione territoriale. Se si accettasse questa seconda ipotesi, si potrebbe cominciare con una federazione: il Paese era un insieme di tribù che solo Gheddafi era riuscito in qualche modo a tenere unite. I russi hanno cercato di sfruttare la divisione per fare i loro interessi in relazione allo sfruttamento dei giacimenti petroliferi. Non per niente la Wagner si era posizionata sulla cosiddetta linea Sirte, controllando tre grossi aeroporti e impedendone l’utilizzo agli occidentali.

Questo arrivo di uomini e materiale militare, però, non significa che il rapporto di Putin con Haftar sia diventato più stretto?

No, la Russia sta solo cercando di consolidare le posizioni già acquisite, che le interessano per controllare un’area più vasta. Sostituisce i soldati perché vuole garantirsi una maggiore autonomia nel condurre i suoi affari.

La presenza della Russia può danneggiare gli interessi italiani?

Non credo che gli interessi italiani verranno danneggiati da questa situazione. L’ENI ha diversi contratti e li porterà a termine, non credo che i russi vogliano impedire che gli altri Paesi tutelino i propri affari. Non vogliono impelagarsi in altri conflitti. All’Italia e all’Europa, comunque, farebbe comodo una Libia unita perché così avremmo un unico interlocutore.

Per l’Italia il ruolo della Libia è storicamente fondamentale e strategicamente ancora importante, ma nell’area sono fondamentali anche i rapporti con la Tunisia. Non per niente la Meloni incontra Saied per l’ennesima volta: c’è il rischio che la Tunisia diventi ancora un problema per i flussi migratori?

Saied è vicino alle elezioni. Ha messo la sordina ai suoi oppositori ma deve sopperire al deficit economico del Paese. Vuole che le promesse che gli sono state fatte vengano mantenute. Il presidente tunisino, d’altronde, la sua parte l’ha fatta: c’è stata una forte riduzione degli arrivi in Italia. Per questo vuole vedere i soldi che gli erano stati promessi. D’altra parte, un accordo solo con la Tunisia non serve a niente.

Per quale motivo?

Se i migranti non vengono dalla Tunisia, arrivano dalla Libia. Per bloccare i flussi bisogna agire in tutt’e due le direzioni. Ma se la Libia è spaccata, con due governi, non si riescono a fare accordi. La Meloni per questo si trova nei guai: ha fatto mille promesse sul controllo dei migranti, li ha stoppati per un po’ ma ora il problema si ripresenta. Adesso che Saied si è arrabbiato, le partenze dalla Tunisia cresceranno di nuovo.

Eppure il problema era stato affrontato con il memorandum Ue-Tunisia e ora a livello europeo si è arrivati a definire un Patto per l’asilo. Non bastano per risolvere la questione?

Il Memorandum non è stato ancora applicato, i soldi previsti a Saied non sono arrivati. E la Meloni, alla quale bisogna riconoscere che si è data molto da fare su questo tema, probabilmente tornerà da Tunisi con un nulla di fatto.

È colpa anche della Ue?

Se fosse per le chiacchiere fatte in Europa, il problema dell’immigrazione sarebbe risolto già da tempo, avremmo dovuto dividere gli immigrati in 27 Paesi. Invece non è così. Tante parole e pochi fatti, che è spesso il leitmotiv della politica di oggi.

Cosa bisogna aspettarsi allora dall’incontro Meloni-Saied?

Un nulla di fatto. Saied chiederà i soldi e la Meloni potrà promettere di andare a litigare per sbloccare le cifre promesse, quei 900 milioni di euro di cui si era parlato. Una giustificazione che a mio avviso non verrà accettata: i dittatori non hanno idea di cosa vuol dire dibattere, mettersi d’accordo, per loro o è sì o è no.

Questo vuole dire che dobbiamo aspettarci un nuovo incremento dei migranti dalla Tunisia?

È già cominciato e continuerà.

(Paolo Rossetti)

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