Lega condannata anche dalla Cassazione per i cartelli anti migranti esposti nel 2016 a Saronno, in provincia di Varese. La Suprema Corte ha respinto, infatti, il ricorso presentato dal partito guidato da Matteo Salvini, condannandolo a risarcire le associazioni Asgi e Naga che avevano portato il Carroccio in tribunale. La vicenda riguarda la protesta della Lega contro l’assegnazione di 32 richiedenti asilo ad un centro di assistenza messo a disposizione da una chiesa di Saronno. Fu convocata una manifestazione affiggendo cartelli con il testo seguente: “Saronno non vuole i clandestini. Vitto, alloggio e vizi pagati da noi. Nel frattempo, ai saronnesi tagliano le pensioni e aumentano le tasse, Renzi e Alfano complici dell’invasione“.



Asgi e Naga risposero portando la Lega, locale e nazionale, davanti al tribunale di Milano, ritenendo che qualificare i migranti come clandestini rappresenta «molestia discriminatoria», quindi un «comportamento idoneo a offendere la dignità della persona e a creare un clima umiliante, degradante e offensivo». Ragioni accolte dai giudici di primo e secondo grado, che avevano condannato la Lega a pagare, oltre alle spese di lite, anche un risarcimento danni. Il Carroccio ha poi presentato ricorso in Cassazione. Il 16 agosto è arrivata la sentenza (24686) della terza sezione, estensore Cirillo e presidente Travaglino, che ha respinto il ricorso.



“CLANDESTINO? ORMAI SIGNIFICATO DISPREGIATIVO…”

«Gli stranieri che fanno ingresso nel territorio dello stato italiano perché corrono il rischio effettivo, in caso di rientro nel paese di origine, di subire un “grave danno”, non possono a nessun titolo considerarsi irregolari e non sono dunque “clandestini”», scrive la Cassazione, evidenziando come il termine “clandestino” «abbia assunto concretamente, nell’utilizzo corrente, un contenuto spregiativo e una valenza fortemente negativa». Oltre a sottolineare l’uso improprio del termine nei confronti di chi chiede protezione internazionale, la Suprema Corte ne stigmatizza l’uso in generale, per il significato assunto e il clima di odio e ostilità che suscita. «Ciò non significa – scrivono i giudici – che esso non possa venire utilizzato nella sua originaria accezione strettamente lessicale, ma che il contesto della struttura sociale in cui esso si cala esige comunque, da parte di chi lo evochi, un’estrema attenzione». Inoltre, hanno respinto la tesi dei legali della Lega, che invocavano il diritto del partito alla libera manifestazione della propria posizione.



Per i giudici questo «non può essere equivalente o addirittura prevalente, sul rispetto della dignità personale degli individui», in particolare quando si tratta di persone più fragili, come i migranti. «Se è vero, infatti, che uno dei valori fondanti della Costituzione repubblicana – si legge nella sentenza – è quello della pari dignità delle persone, è anche vero che il termine di cui si discute può facilmente prestarsi (e indurre), specie se inserito in un contesto verbale come quello del manifesto in questione, ad abusi i quali, creando un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo, si risolvono appunto in un comportamento discriminatorio». Ad essere condannate dalla Cassazione sono i due predecessori giuridici dell’attuale Lega, la Lega Nord-Lega Lombarda, difesa dagli avvocati Pietro Foroni e Stefano Monguzzi, e la Lega Nord per l’indipendenza della Padania, difesa dall’avvocato Cladia Eccher.