Combattere i trafficanti di uomini: è questa la parola d’ordine del governo Meloni dopo il Consiglio dei ministri tenutosi ieri pomeriggio a Cutro. La responsabilità della strage dei disperati davanti alle coste calabresi è loro e l’esecutivo ha deciso un giro di vite per stroncare il traffico di persone da una sponda all’altra del Mediterraneo.



La trasferta calabrese non doveva restare soltanto un omaggio simbolico alle vittime, e così ha partorito un decreto legge che si regge su due pilastri: da un lato l’inasprimento delle pene per i trafficanti, dall’altro il ripristino delle quote di ingresso per i migranti. Il senso del provvedimento è che, secondo le parole della premier, “dev’essere chiaro che non conviene entrare illegalmente in Italia pagando gli scafisti e rischiando di morire”.



Il governo ha perciò inasprito le pene per i trafficanti anche attraverso l’introduzione di una nuova fattispecie di reato: in caso di “morte o lesioni come conseguenza non voluta di delitti in materia di immigrazione clandestina” la pena per gli scafisti può arrivare fino a 30 anni di carcere. Grazie ad accordi bilaterali con i Paesi affacciati sul Mediterraneo, la caccia globale alle mafie degli sbarchi sarà estesa anche fuori dall’Italia. Sempre in queste nazioni saranno avviate campagne di comunicazione “per spiegare quanto sia diversa la realtà da quello che raccontano i criminali”. 



Di contro, per mostrare che l’Italia non sbarra le porte ai migranti, saranno ripristinati i flussi di ingresso: saranno fissate quote triennali di accesso ai lavoratori stranieri privilegiando quelli con una formazione professionale più rispondente alle necessità del sistema produttivo italiano e provenienti dai Paesi che avranno scelto di collaborare con l’Italia. I flussi, ha ricordato Giorgia Meloni, erano stati cancellati perché i precedenti governi avevano deciso di sostituirli con il ricollocamento delle migliaia di sbarcati.

La severità del decreto va incontro alle richieste della Lega, che in Parlamento preme per il ripristino dei decreti sicurezza. Nella stessa direzione va la stretta sulla protezione speciale, che nel 2018 era stata inserita in uno dei decreti sicurezza e poi ammorbidita dal ministro Lamorgese due anni dopo: è la tutela umanitaria offerta a chi non riceveva lo status di rifugiato né la protezione sussidiaria, ma che al contempo non poteva essere allontanato dall’Italia. Saranno anche potenziati i centri di permanenza per i rimpatri.

Il Consiglio dei ministri in trasferta ha approvato il testo all’unanimità, un segno che va a smentire i retroscena di spaccature interne alla compagine. I vicepremier Tajani e Salvini, seduti a fianco della Meloni al tavolo della conferenza stampa svoltasi nel cortile del municipio di Cutro, hanno ribadito che la maggioranza è compatta sul tema immigrazione. Una coesione che tutti hanno sottolineato, a partire dalla presidente del Consiglio. Chi puntava sulle divisioni interne è rimasto deluso. La conferenza stampa comunque è stata agitata per l’incalzare delle domande dei giornalisti e la fermezza con cui la Meloni ha risposto, riproponendo l’interrogativo di qualche giorno fa: “Noi non ci siamo voltati indietro, abbiamo fatto esattamente quello che dovevamo fare. O qualcuno pensa veramente che il governo abbia deliberatamente lasciato affogare più di 70 persone? In questo momento ci sono 20 nostre imbarcazioni impegnate in operazioni di soccorso in acque italiane. Non accetto le ricostruzioni di chi lascia intendere che l’esecutivo si sia girato dall’altra parte”. 

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