Tra i 70 profughi pakistani soccorsi sabato sera al largo di Caulonia, sulla costa reggina, e fatti sbarcare nel vicino porto turistico di Roccella Jonica sono stati registrati 28 casi di positività al Covid-19 che hanno scatenato una serie di reazioni a catena, alcune comprensibili altre dettate da strumentalizzazioni politiche.



La reazione più clamorosa si è registrata ad Amantea, storica località turistica del Tirreno cosentino, dove sono stati trasferiti e posti in isolamento 13 dei migranti positivi. Gli abitanti del luogo e gli operatori turistici hanno reagito inscenando una vistosa protesta bloccando per alcune ore la Strada Statale 18 Tirrenica.



L’origine dell’irritazione è comprensibile per diversi motivi: i migranti positivi al Coronavirus sono stati posti in osservazione in una struttura al centro della cittadina, sia pure strettamente sorvegliata dalle forze dell’ordine; la località scelta è nel pieno della sua corta stagione turistica, abbreviata ancor di più quest’anno proprio per le conseguenze sui volumi turistici provocate dai timori della pandemia. Peraltro, una soluzione incomprensibile: se si ospitano i migranti a 150 chilometri dal luogo dello sbarco, sulla costa opposta, quella del mar Tirreno quando lo sbarco è avvenuto sullo Ionio, dalla provincia di un estremo della Calabria a quella di un altro estremo, ci si dovrebbe attendere una scelta ponderata, motivata e ragionevole, ma l’opzione Amantea ha dimostrato invece di non possedere nessuna di queste caratteristiche.



Difficile decifrare le motivazioni che hanno portato ad Amantea, senza alcuna interlocuzione istituzionale con gli enti locali e, in primis, con la Regione. Una soluzione che sembra vada cercata esclusivamente nel canale gerarchico e diretto tra il Governo centrale e la sua rappresentanza sul territorio, ovvero le prefetture. Anche perché il comune di Amantea è retto dallo scorso febbraio da una commissione straordinaria prefettizia, dopo lo scioglimento del consiglio comunale. Una gestione straordinaria che bypassa pertanto l’eventuale opposizione di un sindaco e di un consiglio in carica.

La scelta appare sbagliata soprattutto per i rischi di carattere sanitario e per le ripercussioni su una già notevolmente compromessa stagione turistica. È giustificata la reazione della presidente Jole Santelli quando dice: “Per mesi abbiamo combattuto il coronavirus, al costo di grandissimi sacrifici esistenziali, sociali ed economici. Ma ora, a causa di questa incomprensibile indifferenza nei confronti della minaccia rappresentata dagli sbarchi incontrollati, tutti gli sforzi compiuti dai calabresi e dagli italiani rischiano di essere vanificati. Non possiamo consentirlo … Serve una risposta immediata al fine di non vanificare i tanti sacrifici fatti finora e di garantire il diritto alla salute dei cittadini italiani e della Calabria, una regione in cui l’epidemia è stata contenuta meglio che in tante altre realtà. Noi Calabresi abbiamo fatto il nostro dovere, ora è lo Stato che deve difenderci”.

Il rischio che tutto il Sud corre è quello di porre la questione nei termini di uno scontro sull’immigrazione. Ciò che preoccupa i residenti e gli operatori turistici è che la presenza del virus, sia pure isolata e contenuta, possa provocare la fine prematura di una stagione estiva già nata male. Per questo, per i migranti arrivati, vanno individuate residenze lontane da quelle che sono attualmente interessate dalla presenza di turisti e livelli di attenzione almeno pari a quelli dei mesi scorsi, quando il pericolo di contagio, per il Sud, arrivava soprattutto dagli spostamenti interni.

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