Non se la passano affatto bene i migranti in Svizzera, o per lo meno, i due ragazzi che ha incontrato il quotidiano Repubblica. Joelson, 25 anni, del Camerun, e Tatiana, 23 anni della Costa d’Avoria, erano sbarcati in Svizzera, nel villaggio montano di Albinen con annesso permesso di soggiorno provvisorio, ma una volta scaduto sono stati rispediti in Italia, così come stabilisce il trattato di Dublino (i migranti irregolari devono tornare nel Paese di prima accoglienza). Peccato però che le autorità elvetiche li abbiano spediti in Italia spogliati, legati e incappucciati. I due erano giunti nel Belpaese dopo essere sbarcati a Salerno, quindi trasferiti a Torino e ospitati poi dalla Svizzera. Scaduto il termine di “ospitalità”, sono stati rispediti in dietro con maniere tutt’altro che ortodosse: «In manette, le catene ai piedi, picchiati e incappucciati – raccontano i due a Repubblica – e volevano anche toglierci la bambina, che non aveva ancora un anno, perché lei è nata a Berna. Ma noi non l’avremmo lasciata mai». Ora si trovano a Napoli presso il centro di accoglienza gestito dalla Ong “Laici Terzo Mondo”.
MIGRANTI COME BESTIE IN SVIZZERA
«Avevamo già firmato le carte per il trasferimento – aggiungono i giovani mamma e papà – non c’era motivo di tanta violenza. Ci hanno trattato come bestie». Tatiana racconta come è avvenuto il trasferimento; una mattina ha sentito bussare alla porta, era la polizia elvetica: «Ero sola con la piccola che aveva otto mesi. Mio marito era uscito a comprare qualcosa. Quando ho aperto i poliziotti mi hanno aggredita: ‘C’è un aereo pronto per te’. Io non volevo andare senza Joelson. ‘Voglio aspettare mio marito’. Stavo andando a prendere la bimba quando mi hanno afferrato per la braccia, messo le manette ai polsi e una catena ai piedi. La bimba piangeva: ‘Fatemi dare da mangiare a mia figlia’, ho chiesto. Ma loro hanno cominciato a picchiarmi e a dirmi che dovevo spogliarmi. Mi hanno chiusa nella stanza con otto poliziotte, mi hanno strappato i vestiti, tagliato le treccine e messo le mani ovunque. ‘Perché mi fate questo?’. ‘Quando rimpatriamo quelli come te alcuni prendono medicine e si suicidano’». Secondo il racconto della donna, quando il marito è rincasato hanno picchiato anche lui e poi tutti e due sono stati messi di forza su un minivan e portati all’aeroporto, assieme alla figlia piccola che continuava a piangere. A quel punto sono stati fatti salire su un aereo con un cappuccio nero in testa e un nastro isolante sulla bocca, poi il loro incubo è terminato quando hanno messo piede sul suolo italiano. Ora hanno chiesto asilo in Italia: «L’8 luglio abbiamo l’appuntamento. Speriamo di non essere respinti, la cosa più importante è aver ritrovato il sorriso e soprattutto la nostra famiglia». Sono 967 i “dublinati” che dalla Germania sono stati trasferiti in Italia fra gennaio e maggio, ma le richieste sono di quasi 8000.