Sul tema dell’immigrazione il governo Conte bis viene sollecitato a mandare a quel paese se stesso, e cioè a smentire quanto condiviso con il precedente ministro dell’Interno.

Ma i primi segnali offerti dal presidente del Consiglio sembrerebbero andare in un’altra direzione: alcune correzioni dilazionate nel tempo ai decreti sicurezza imposti da Salvini, sulla base dei suggerimenti offerti dal Capo dello Stato, un atteggiamento meno ostile verso le Ong e per le operazioni di salvataggio in mare, qualche generico appello alla solidarietà.



Al momento la via di fuga è rappresentata dall’ennesima richiesta di rivedere l’intesa di Dublino 3, considerata dai nostri, destri e sinistri compresi, la fonte di ogni male.

Le richieste sono del tutto identiche a quelle prospettate a suo tempo dalla coppia Gentiloni-Minniti e riproposte dal duo Conte-Moavero. Fondate sull’assunto che le frontiere nazionali dei paesi aderenti debbano essere considerate come confini dell’Unione Europea, chiamata di conseguenza a predisporre una strategia unitaria:
– per le politiche di controllo e di contrasto per gli ingressi irregolari;
– per l’accoglienza, la redistribuzione automatica dei profughi nei paesi aderenti e di rimpatrio per le persone prive dei requisiti per la protezione internazionale;
– per promuovere intese con i paesi d’origine dei migranti finalizzate a rafforzare le iniziative di contrasto per l’immigrazione irregolare, i rimpatri e le azioni di sostegno allo sviluppo locale.



Tutto ragionevole sulla carta, con intenti che trovano riscontro anche nei pronunciamenti della neo presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e di alcuni importanti leader nazionali, a partire da Macron.

Strada spianata, dunque? L’auspicio è doveroso, ma la strada è tutt’altro che agevole.

La prima difficoltà, che viene ampiamente sottovalutata nella narrazione italiana, verte sulla possibilità stessa delle istituzioni europee di assumere decisioni sulla materia in questione, dato che i trattati costituenti non prevedono affatto una competenza diretta della Ue sul tema dell’immigrazione. Tale decisione, assunta a suo tempo dall’unanimità dei paesi aderenti, è facilmente comprensibile. Dato che nessun paese è disposto a trasferire a un’autorità sovranazionale il diritto di stabilire chi, e a quali condizioni, possa risiedere stabilmente nei propri confini nazionali.



Ne consegue che le istituzioni in questione debbano svolgere un ruolo di coordinamento delle politiche nazionali. Cosa che hanno fatto nel corso degli anni, tramite l’emanazione di una notevole mole di direttive che hanno orientato le legislazioni nazionali, analogamente a quanto avvenuto, per esempio, sui temi del lavoro e dei diritti sociali.

Per lo specifico delle politiche migratorie e dell’accoglienza dei profughi vi sono due caratteristiche che rafforzano il ruolo della Ue: l’adesione di tutti i paesi aderenti ai trattati internazionali che regolano i diritti di protezione internazionale e le norme che regolano la libera circolazione interna ai paesi aderenti che introducono dei limiti per la circolazione dei cittadini extra-comunitari. E che hanno dato luogo alle tanto criticate intese di Dublino.

È ragionevole pensare che i vincoli costituenti possano essere rivisti? La risposta è no. E non dovrebbe essere difficile comprenderne le ragioni, date le grandi diversità interne ai paesi aderenti in termini di approcci culturali, economia e sostenibilità dei mercati del lavoro.

Pertanto la strada da perseguire rimane quella della promozione di interventi sulla base dell’adesione volontaria dei paesi aderenti, eventualmente accompagnata da una messa a disposizione di mezzi economici e strumentali, per il complesso delle misure che vengono messe in atto.

Una seconda difficoltà, sostanziale, deriva dall’esigenza di specificare che le azioni solidali a favore dell’accoglienza dei profughi possono essere rivolte agli immigrati irregolari previa verifica del possesso dei requisiti di protezione internazionale. E qui, come si suol dire, casca l’asino. La gran parte dei flussi in questione, soprattutto quelli che si orientano verso l’Italia, sono esplicitamente di origine economica, pertanto privi dei requisiti per rientrare nella promozione delle azioni solidaristiche.

Ipotizzare che tutto questo possa avvenire su navi o centri di prima accoglienza europei è auspicabile, ma pressoché impraticabile, dato che i processi di accertamento non sono affatto semplici e costituzionalmente possono essere contestati dai richiedenti in diversi gradi di giudizio. Il paese di prima accoglienza rimane pertanto il soggetto che deve farsi carico delle procedure di accertamento, del rilascio dei permessi di protezione, ovvero dei rimpatri dei non aventi diritto.

Infine, vanno evidenziati i problemi interni, i nostri, non quelli degli altri paesi. Da alcuni anni, per non dire da sempre, evitiamo accuratamente di analizzare la natura dei flussi migratori verso l’Italia – come si formano, come si alimentano – per poter comprendere quali strategie debbano essere messe in campo al fine di selezionarli, contrastarli e governarli nel limite del possibile.

Le nostre politiche si autoalimentano di immaginario e di improvvisazione. L’elenco delle iniziative scellerate praticate negli ultimi 5 anni su entrambi i fronti che si contrappongono sull’asse “umani contro disumani”, con annesso tifo per il Capitano o per la Capitana, è talmente lungo da meritare un articolo ad hoc. A partire da quelle unilateralmente attivate nel 2014 in acque internazionali, la cosiddetta operazione di salvataggio “Mare Nostrum”. Ignorando colpevolmente i rapporti dei servizi segreti che evidenziavano l’attività di riorganizzazione delle tratte di migranti economici dai paesi centrafricani, in conseguenza della dissoluzione dello Stato libico.

Meno enfasi e più concretezza sono i requisiti per essere autorevoli sui tavoli europei. Speriamo che le lezioni siano servite a qualcosa.