COSA PREVEDE IL PROTOCOLLO ITALIA-ALBANIA SUL TEMA MIGRANTI

Il Governo ha reso pubblico il pdf completo del Protocollo firmato tra Italia e Albaniaper il rafforzamento della collaborazione in materia migratoria”: 15 pagine con 14 articoli e 2 allegati, l’accordo siglato dalla Premier Giorgia Meloni con l’omologo albanese Edi Rama lo scorso 6 novembre fissa alcuni punti importanti in merito alla gestione dei flussi di migranti al di fuori dal territorio europeo.



L’accordo Italia-Albania ha durata di 5 anni ed è rinnovabile tacitamente per altri 5: in Albania si potranno accogliere non più di di 3.000 migranti alla volta e sbarcati solo da mezzi italiani, con l’onere della sicurezza all’esterno delle strutture. Costi di soggiorno sono a carico dell’Italia ma il personale italiano non risponde alle autorità albanesi. Accesso alle strutture consentito ad avvocati e agenzie internazionali: il Protocollo è poi annullabile con 6 mesi di preavviso. Nella premessa del Protocollo Italia-Albania viene sottolineato con chiarezza che l’accordo «è finalizzato a rafforzare la cooperazione bilaterale tra le parti in materia di gestione dei flussi migratori provenienti da Paesi terzi, in conformità al diritto internazionale e a quella europea».



I LEGAMI COL DIRITTO UE: TUTTE LE NOVITÀ DEL PROTOCOLLO CON L’ALBANIA

Entrando nelle pieghe del Protocollo Italia-Albania, il testo finale firmato da Meloni e Rama punta al costo a carico dello Stato italiano: i paragrafi 5, 6 e 7 stabiliscono che le competenti autorità italiane «adottano le misure necessarie al fine di assicurare la permanenza dei migranti all’interno delle aree, impedendo la loro uscita non autorizzata nel territorio d’Albania, sia durante il perfezionamento delle procedure amministrative che al termine delle stesse, indipendentemente dall’esito finale. In caso di uscita non autorizzata dei migranti dalle aree, le autorità albanesi li ricondurranno nelle stesse. I costi che derivano dall’attuazione del presente paragrafo, sono sostenuti dalla parte italiana».



Lo Stato italiano sosterrà ogni costo necessario all’alloggio dei migranti e al trattamento delle persone accolte nelle strutture, compreso il vitto, le cure mediche (anche nei casi che necessitano l’assistenza delle autorità albanesi) e qualsiasi altro servizio. Spetta invece all’Albania avere l’onere della sicurezza all’esterno delle strutture: «Le competenti autorità della parte italiana assicurano il mantenimento dell’ordine e della sicurezza all’interno delle aree. Le competenti autorità della Parte albanese possono accedere nelle aree, previo espresso consenso del responsabile della struttura stessa». Come stabilisce l’accordo siglato lo scorso 6 novembre, l’ingresso dei migranti in acque territoriali e nel territorio della Repubblica di Albania «avviene esclusivamente con i mezzi delle competenti autorità italiane. All’arrivo nel territorio albanese, le autorità competenti di ciascuna delle parti procedono separatamente agli adempimenti previsti dalla rispettiva normativa nazionale e nel rispetto del presente Protocollo». I massimo 3mila migranti presenti alla volta nelle strutture albanesi saranno gestiti in quelle aree da «competenti autorità della parte italiana secondo la pertinente normativa italiana ed europea. Le controversie che possano nascere tra le suddette autorità e i migranti accolti nelle suddette strutture sono sottoposte esclusivamente alla giurisdizione italiana». I trasferimenti da e per le strutture medesime sono a cura delle competenti autorità italiane: davanti alle critiche sollevate dalle opposizioni (la sinistra in Italia e la destra in Albania), viene escluso ogni legame con il diritto Ue in quanto il Protocollo è siglato in forma bilaterale tra Roma e Tirana. «La nostra valutazione preliminare è che l’intesa tra Italia e Albania non viola il diritto comunitario ma è al di fuori di esso», ha spiegato la commissaria europea agli Affari Interni Ylva Johansson. L’intesa tra Italia e Albania infatti si applica a tutti i soccorsi effettuati da navi italiane in “alto mare”, ovvero al di fuori delle acque territoriali italiane e quindi europee: se invece il salvataggio fosse condotto in acque europee porterebbe all’applicazione del diritto di asilo dell’Ue, come previsto dai Trattati e dal regolamento di Dublino.