Secondo un recentissimo studio condotto nei Paesi Bassi i migranti – nella maggior parte dei casi – finisco per rivelarsi portatori di “contributi negativi” per lo stato che alla fine del loro naturale ciclo di vita si è trovato a spendere più soldi di quanti ne abbia ricevuti: dunque non un costo vero e proprio da intendere come spesa pubblica, ma una riduzione dei contributi fiscali e previdenziali che finisce per ripercuotersi quasi indelebilmente anche sulle generazioni successive ai migranti propriamente intesi (ovvero figli, nipoti e quant’altro); con un ciclo che si interrompe solamente nel caso in cui la persona che arriva lo fa per ragioni lavorative entro i primi 60 anni di vita, assolvendo ai suoi compiti sociali.
A condurre lo studio sui migranti è stato l’istituto di ricerca IZA citato dal quotidiano britannico Telegraph per cercare di confermare l’ipotesi spesso mossa dai critici delle migrazioni sregolate che un quantitativo di arrivi eccessivi finirebbe per mettere eccessivamente sotto pressioni i servizi pubblici; smentendo peraltro l’ipotesi – questa mossa dai sostenitori delle migrazioni – che seppur i primi arrivati possano essere a tutti gli effetti un costo, diventeranno una fonte di ‘guadagno’ per lo stato una volta che i loro eredi avranno raggiunto la maggiore età.
Lo studio sui migranti: “Allo stato costano circa 400mila euro, 200mila per ogni ricongiungimento familiare”
Partendo dal principio, lo studio condotto nei Paesi Bassi ha scoperto che i migranti tendenzialmente finiscono per costare – lo ripetiamo: dal punto di vista dei mancati introiti fiscali e sociali, non della spesa pubblica – circa 400mila euro l’uno allo stato nell’intero arco della loro vita: una somma alla quale si devono aggiungere ulteriori 200mila euro se si considerano i costi generati dai familiari che si ricongiungono al migrante; il tutto ripercuotendosi anche sulle generazioni successive.
Interessante notare che – in particolare – sono i migranti provenienti da paesi come il Sudan, il Marocco, l’Afghanistan, l’Iraq e la Siria a costare tendenzialmente di più allo stato, mentre in linea generale che proviene da realtà ‘occidentali’ come gli States, il Regno Unito o il Giappone finisce per avere un impatto positivo; il tutto – e questa sembra essere la nota positiva che emerge dallo studio – attenuato dagli immigrati economici che arrivano per ragioni lavorative e che finiscono per contribuire in modo positivo al bilancio dello stato per più di 100mila euro l’uno, purché abbiano un’età compresa tra i 20 e i 50 anni e con un impatto (sempre ovviamente positivo) che si ripercuote anche sulle seconde generazioni.