Mentre in Italia si è celebrato un 25 aprile polemico e divisivo, i liberatori di allora hanno guardato a modo loro ai teatri della guerra mondiale che nella primavera del 1945 si concludeva in Europa.

Non è stato banale leggere accostati – ieri, sulla front-home del New York Times – due titoli. Il primo rimuginava sulla telefonata fra il leader cinese Xi e il presidente ucraino Zelensky. Già: 80 anni fa le stesse pianure dell’Est Europa erano campo di battaglia per le stesse migliaia di carri armati. Ma i russi – che alla fine vinsero la loro guerra – erano alleati di Usa e Gran Bretagna contro la Germania nazista (con la quale, peraltro, si batterono moltissimi ucraini). Ma soprattutto: la Grande Cina che oggi si propone come super-mediatrice globale allora non esisteva quasi sul planisfero geopolitico. Il nazionalista Chiang Kai-shek, semmai, era alleato dell’Occidente contro il Giappone, ma finì presto confinato a Taiwan dalla rivoluzione maoista, al di là degli stretti nel Mar Cinese meridionale.



È però il secondo titolo del Nyt ad aver inquadrato un “teatro” molto più vicino all’Italia: il Canale di Sicilia. Lo spunto – “Un naufragio mortale nel Mediterraneo” – è potuto sembrare perfino di routine per i lettori italiani. Molti dei quali, tuttavia, potranno essersi sorpresi che l’Italia non sia mai citata (e tanto meno il governo Meloni) nella concisa news analysis sulla tragica fine di 55 migranti annegati “al largo della Libia, nel tentativo di sbarcare in Europa”. È – letteralmente oltreché simbolicamente – la stessa traversata compiuta dalle truppe angloamericane nel luglio del 1943: il primo passo della liberazione del Vecchio continente, soggiogato dalla Germania. Ed è in questa prospettiva che il maggior quotidiano americano sembra affrontare la questione.



Non viene certamente dimenticata la costante denuncia umanitaria delle Ong sulla “mancanza di piani preventivi di ricerca e salvataggio” nel Mediterraneo. Ma il cuore della riflessione è squisitamente geopolitico: “Dopo la caduta e l’uccisione del dittatore Muhammar al-Gheddafi, nel 2011, la Libia è caduta nella guerra civile e il suo territorio resta diviso fra fazioni in guerra. La Libia è diventata il maggior punto di transito verso l’Europa per decine di migliaia di migranti. Con pochi corridoi legali di migrazione, molti sono costretti a pagare scafisti (smugglers) per effettuare una traversata pericolosa”.



Quindi: è l’Europa che deve soccorrere e accogliere i migranti e certamente il caos sulle coste del Nordafrica – all’origine del traffico di esseri umani – è la prima causa di crisi da rimuovere.

Dal giornale ammiraglio dei “dem” Usa sarebbe lecito attendersi un minimo di approfondimento retrospettivo sulla “operazione militare speciale” della Nato nel 2011 in Libia, ma resta comunque difficile scorgere differenze di visione sull’emergenza odierna nel Canale di Sicilia fra l’America di Joe Biden e l’Italia di Giorgia Meloni. È invece la nuova leader “obamiana” del Pd Elly Schlein a strumentalizzare puntualmente ogni episodio di crisi migratoria a fini di politica interna. Laddove il suo stesso partito – al governo con Matteo Renzi premier e Marco Minniti agli Interni – si era mosso sulle spiagge nordafricane in coerenza con la stessa analisi geopolitica del Nyt, larga fino alle coste turche o all’entroterra subsahariano infiltrato da russi e cinesi.

Nelle stesse ore, intanto, anche la Gran Bretagna è tornata a occuparsi di un altro canale bollente nella Seconda guerra mondiale: quello della Manica. Il braccio di mare che, dopo l’invasione normanna del 1066, nessun europeo è più riuscito a varcare con intenti ostili.  Neppure la Germania hitleriana, poi sconfitta da un’invasione alleata che ebbe per teatro The Channel: quello che – nel tipico humour britannico – isola semmai “il Continente” franco-tedesco dalla civiltà anglofona.

Bene: il governo conservatore di Rishi Sunak (figlio di immigrati indiani) è riuscito infine a far approvare dai Comuni una legge che vieta la richiesta di asilo a chiunque sia sbarcato in Gran Bretagna su piccoli battelli. Le nuove norme impongono all’home secretary (Suella Bravermann, genitori nati in Kenya e Mauritius) di porre in detenzione ed espellere gli immigrati illegali presso i loro Paesi d’origine o presso “Paesi terzi sicuri”. La maggioranza tory – su cui si appoggiò anche Winston Churchill nel suo ultimo premierato dopo aver liberato l’Italia – aveva già tentato di organizzare deportazioni di massa di profughi in Ruanda e sta ora pianificando la ristrutturazione di vecchie caserme come “lager”. La Gran Bretagna è scossa da mesi da violente agitazioni sindacali legate a un’inflazione che resta a doppia cifra, soprattutto per alcune categorie di generi alimentari.

Chissà cosa ne pensa Melvin Schlein, padre di Elly, politologo “radical” americano.

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