Una moneta che vale sempre di meno e si è dimezzata in un anno, una montagna di debiti con l’estero, addirittura triplicati. Gli economisti che insinuano dubbi sulla tenuta finanziaria e la povertà che cresce a dismisura. L’Egitto deve far fronte a una situazione economica pesante che ha spinto molte più persone, rispetto a prima, a lasciare il proprio Paese d’origine per cercare fortuna all’estero, tanto è vero che proprio gli egiziani sono tra i più numerosi ad approdare sulle coste italiane. Colpa dell’instabilità conosciuta dal 2011 in poi e dell’effetto combinato di pandemia e guerra.
“Credo che questi due ultimi elementi – dice Sherif El Sebaie, egiziano, opinionista ed esperto di diplomazia e politiche sociali di integrazione – abbiano portato l’Egitto allo stato in cui è oggi”.
Come ci si è arrivati?
In realtà queste situazioni non sono mai il risultato di un evento unico, ma di una combinazione di eventi, sono conseguenza di un accumulo di politiche, di decisioni che risalgono molto indietro nel tempo.
Non è tutta colpa di Al Sisi, insomma.
Esatto, trovo che sia sbagliato in un certo senso attribuire la colpa della situazione attuale solo ad Al Sisi, come prima era sbagliato accollarla a Mubarak e a chi lo ha preceduto.
Come mai allora la crisi è precipitata nell’ultimo periodo?
Innanzitutto bisogna ricordare da quale situazione siamo partiti, quella di un Paese che ha attraversato anni di instabilità, soprattutto dal 2011 in poi, cominciati con le primavere arabe, i Fratelli musulmani, la reazione terroristica, la deposizione del governo dei Fratelli musulmani e così via. Periodo che si è concluso con una pandemia e una guerra in Ucraina.
L’Egitto ha risentito magari più di altri di una crisi che è globale?
Sì, è un Paese che ha cominciato questa decade indebolito da una forte situazione di instabilità e che come tutti gli altri si è ritrovato a fare i conti con due eventi eccezionali cui fatica a far fronte persino l’Europa.
Quali sono i punti forti dell’economia egiziana e quali sono i settori che hanno risentito di più della crisi?
Due delle fonti più importanti di valuta forte sono state colpite. La prima è il canale di Suez, non dimentichiamo che la pandemia ha bloccato molte fabbriche, molto del movimento dell’import-export e anche la guerra ha avuto un impatto economico che ha ridotto comunque i passaggi attraverso il canale. Poi c’è stato a un certo punto il problema della nave che aveva bloccato il passaggio per una settimana, con molte compagnie che addirittura avevano scelto di girare intorno all’Africa piuttosto che aspettare, non sapendo quanto tempo sarebbe stato necessario per sbloccare la situazione. E poi il turismo: penalizzato da due anni di pandemia con lockdown, aerei a terra, con un cambio della volontà di consumo, di uscire e viaggiare, che ha avuto un impatto non indifferente.
Questi, insomma, sono i due elementi che incidono di più?
Assolutamente sì. Non dimentichiamo poi che l’Egitto dipende molto dall’importazione di beni dall’estero, in particolare il grano. Proprio quest’ultimo nella situazione attuale, soprattutto per quanto riguarda appunto i prezzi del grano, rappresenta una sfida molto grossa. Al Sisi stesso ha sempre ribadito che uno degli ostacoli più forti per lo sviluppo dell’Egitto è la demografia galoppante. Nonostante gli appelli, i programmi, i tentativi per contenere questo aumento pazzesco della popolazione, il tasso di fertilità egiziano rimane importante.
Al Sisi ha riconosciuto che ci sono 30 milioni di egiziani sotto la soglia di povertà.
È così. Ciò nonostante negli ultimi anni, prima di questi eventi, si era riusciti ad ottenere risultati importanti: creazione di nuovi posti di lavoro, miglioramenti delle percentuali e del numero delle persone che sono sotto la soglia di povertà. Poi sono arrivati questi avvenimenti imprevisti che hanno messo in difficoltà l’economia. Va detto che l’Egitto, come molti altri Paesi in questa situazione, è sempre davanti al dilemma di come creare benessere e mettere in moto un sistema economico virtuoso. Necessita di infrastrutture, ma le infrastrutture necessitano a loro volta di soldi: è un cane che si morde la coda, fare le infrastrutture prima con soldi che non si hanno o chiedere soldi in prestito per fare le infrastrutture e trovarsi poi nella difficoltà di restituire questi soldi.
Il regime di Al Sisi è ancora solido? La situazione lo ha messo in difficoltà dal punto di vista internazionale e interno?
È chiaro che quando la situazione economica peggiora la tendenza dell’opinione pubblica è trovare un capro espiatorio, però io credo anche che gli egiziani non dimentichino che sono stati loro stessi a chiedere l’intervento dell’esercito guidato all’epoca da Al Sisi per liberarsi dai Fratelli musulmani. Al momento la situazione sembra stabile. Anche dal punto di vista internazionale continuano le visite del presidente all’estero, si firmano accordi, trattati. C’è un po’ di fermento più che altro tra gli esperti di economia internazionale.
Quindi non c’è un dissenso interno così evidente?
Al momento non ci sono segnali palesi di un dissenso che porti a cambi nella struttura del potere.
Questa crisi economica, quindi, è il motivo per cui molti egiziani hanno deciso di andarsene all’estero, tanto che risultano una delle nazionalità più presenti tra i migranti che arrivano in Italia?
Gli egiziani sono sempre migrati all’estero, già a partire dagli anni 70 emigravano nei Paesi del Golfo.
Adesso succede più di prima?
Ora chiaramente in una situazione economica globale come questa c’è un aumento di chi emigra. Ma va detto anche che queste persone sono spinte a farlo pensando che dall’altra parte del Mediterraneo ci sia l’Eldorado, per poi trovarsi in situazioni ben peggiori rispetto a quelle che hanno lasciato. Spesso si indebitano e vendono tutto quello che hanno, con cui facevano una vita relativamente dignitosa, per ritrovarsi a morire di freddo sotto un ponte in Italia.
(Paolo Rossetti)
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