Ci sono persone che fuggono dai loro Paesi per cercare fortuna e altre che non vedono l’ora di tornare nel loro sfortunato Paese. Mi riferisco, ovviamente, sia a quelle migliaia di migranti che, soprattutto, dall’Africa e da certe zone dell’Asia, vogliono costruire per sé e per le loro famiglie un futuro diverso da quello che si aspettano a casa. Dopo aver provato l’esperienza del colonialismo, ora stanno provando quella di pesanti dittature o di democrazie fragili e tutt’ora dipendenti dai padroni, vecchi e nuovi, di questo mondo.
Mi riferisco poi a quelle famiglie ucraine, di cui una è in casa mia da otto mesi, che sognano di tornare a casa anche se, per la verità, una casa a Kharkiv non ce l’hanno più.
Sono situazioni diverse, come è ancora diversa quella delle quattro ragazze iraniane che ora vivono nella casa dove abitava mia madre. In questo caso la loro, di per sé, non è stata una vera e propria fuga perché vivono legalmente in Italia con tanto di borsa di studio e permesso di soggiorno. Il fatto è che nel loro Paese se sei una donna, anche se vivi in una Repubblica democratica (islamica) non sei proprio uguale agli uomini se è vero che sono loro che decidono cosa le donne devono fare, addirittura come devono portare il velo. Così, appena arrivate il velo se lo sono tolto e poi, via, tutte dal parrucchiere a farsi bionde, colore che non mi sembra sia proprio abituale per le donne iraniane. Certo da noi, se vuoi, puoi farti i capelli di tutti i colori, ma devi stare attento (o attenta) a come parli, perché se non usi il politically correct language…
La migrazione dall’Africa, e dintorni, non sembra proprio evitabile. Infatti oggi si litiga fra i Paesi della Ue perché ciascuno se ne prenda un po’. Perché non affrontare seriamente la questione di come favorire un vero cambiamento della situazione dei loro Paesi, dove di solito non si interviene se non per difendere i nostri, a volte discutibili, investimenti? Così una massa di giovani, anche promettenti, lasciando il loro Paese lo abbandonano nelle mani di chi vorrebbe che non cambi nulla. Perché non aiutarli a star bene il più possibile nella loro patria? – non solo perché qui, a volte, creerebbero problemi, ma perché un africano ha il diritto di essere felice a casa sua, senza essere costretto a viaggi della speranza che spesso diventano della disperazione? In fondo il primo “ius soli” è quello a casa propria.
Ricordo che due anni fa al Meeting di Rimini ebbi modo di incontrare il comandante di quella che allora si chiamava operazione “Mare Nostrum”. Gli chiesi che cosa ne pensasse di un piano che prevedesse, al posto di abbandonare i migranti nelle mani degli scafisti per poi soccorrerli in mare, di mandare nostre navi a prenderli, fare una verifica durante la traversata dei loro diritti, evitando così il vergognoso mercato degli scafisti e gli inevitabili annegamenti. Così anche le Ong potrebbero destinare i loro cospicui fondi ad una vera assistenza qui, piuttosto che a discusse operazioni di salvataggio. Ricordo che la risposta fu: “Mi dica di che partito è e la voterò subito”.
Personalmente di che partito sono non l’ho ancora capito, ma la mia proposta, anche opportunamente corretta ed aggiornata, è rimasta là, davanti ad un caffè macchiato del bar del Meeting. Quanto agli ucraini, come ho già scritto, ormai è evidente che è interesse di tutti che la guerra finisca. Basta far credere che tutti abbiano vinto, perché, si sa, oggi un pareggio non fa più felici i tifosi di nessuna squadra.
Quanto alla questione iraniana il caso è più complesso. Ormai è evidente che in molti Paesi di tradizione islamica (per fortuna non in tutti) c’è un grosso deficit di diritti e, purtroppo, non solo per le donne. Se questi Paesi sono “amici”, perché ci sono utili, sono ricchi e ormai controllano una parte del nostro mondo economico e finanziario, abitualmente siamo disposti a chiudere un occhio sulla loro situazione interna. Oggi in alcuni di questi Paesi ci sono ingiustizie “legali” che in confronto le dittature dei Franco e dei Pinochet erano, quasi quasi, “moderate” (si fa per dire).
E se cominciassimo a chiedere a questi Paesi, in cambio degli accordi commerciali che stipulano con noi, di introdurre un po’ più di libertà? Non solo quella di tingersi i capelli come si vuole, non solo quella di portare il velo o meno, ma quella di credere come si vuole, di amare chi si vuole?
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