La vicenda “Albania” – dove sono stati organizzati centri di sbarco e pre-accoglienza di immigrati irregolari, strutture pronte ma tuttora ancora deserte – andrebbe affrontata sia dal punto di vista dei diritti umani che delle motivazioni che portano ad emigrare, con relative conseguenze.

In Italia, invece, per preconcetto politico è stata da subito osteggiata senza neppure essere ben spiegata al pubblico e alcuni giudici sono riusciti a bloccare (dichiarandoli illegittimi) tutti i trasferimenti, creando tensioni non solo politiche, ma anche nei riguardi della stessa magistratura, accusata (con qualche ragione) di voler sabotare ogni iniziativa del governo.



La Corte di Cassazione il 19 dicembre ha finalmente emesso una sentenza che è un po’ pilatesca, ma sostanzialmente chiara e che – se applicata con buonsenso – può risolvere molti problemi in attesa che la Corte di giustizia europea faccia a sua volta una scelta si spera ragionevole, logica e non demagogica.

Va ricordato che il fenomeno è imponente, ma che i numeri sono comunque in diminuzione (al 21 dicembre vi erano stati quest’anno 65.422 sbarchi rispetto ai 153.677 del 2023 e ai 101.228 del 2022), sia per il freno dato dal governo alle navi delle Ong, sia per la maggior attività della guardia costiera libica.



Il Piano Albania era semplice: far sbarcare lì i migranti e non direttamente in Italia, valutare le singole situazioni, e solo a quel punto accettare in Europa chi chiede asilo motivato, avviando invece espulsioni per chi non ha titoli.

La logica vorrebbe che coloro che attraversano il mare siano fermati, identificati e “filtrati” prima di partire e non allo sbarco (alimentando altrimenti il business di carne umana e con alto rischio di naufragio); il problema è nato sui Paesi di provenienza giudicabili sicuri oppure no.

Secondo il governo quasi tutti i Paesi di maggiore immigrazione (Egitto, Tunisia, Bangladesh) sono “sicuri” – ed in merito ha legiferato –, mentre secondo alcuni magistrati, la sinistra, le Ong ecc. se un Paese non è sicuro anche solo per alcune categorie di cittadini (oppositori politici, minoranze religiose, omosessuali) quel Paese è allora generalmente “non sicuro” e le porte devono aprirsi per tutti quei migranti che ne sono originari.



Giustamente la Cassazione ha sottolineato invece come il giudice “non può sostituirsi al ministro degli Affari esteri” né “può annullare con effetti erga omnes il decreto ministeriale” che elenca i Paesi sicuri verso i quali è possibile effettuare i rimpatri. Perché, scrive la Cassazione, la scelta di “prevedere, in conformità della disciplina europea, un regime differenziato di esame delle domande di asilo per gli stranieri che provengono da Paesi di origine designati come sicuri”, è “politica” e spetta al governo. Inoltre la sentenza stabilisce che il giudice ordinario non possa “andare al di là del pieno e completo esame del singolo caso”. In sostanza, il giudice può sì disporre che un Paese non sia sicuro per il singolo richiedente asilo, ma solo per lui. Per questo la Meloni e Piantedosi plaudono la Cassazione, sottolineando che i giudici “Di fatto ci hanno dato ragione sul diritto di stabilire quale sia la lista dei Paesi sicuri, mentre i magistrati possono entrare nel singolo caso rispetto al Paese sicuro, ma non disapplicare in toto la materia”.

Su questa base si possono quindi aprire le porte dei centri in Albania con l’opposizione che non potrebbe più protestare per lo spreco consistente nel realizzarli per poi lasciarli vuoti.

Tutto a posto? No, perché c’è un “ma” che è legato alla Corte di giustizia europea – alla quale si sono appellati i magistrati “dissenzienti” – che sarà chiamata a decidere sul caso e potrà ragionare come la nostra Corte di Cassazione oppure no, e in questo caso si riaprirebbe il “liberi tutti”, con l’aggravante che una scelta europea in questo senso farebbe cadere sulle spalle dei soli Paesi europei del “fronte sud” tutto il peso del fenomeno migratorio. Non a caso l’altro ieri in Lapponia la Meloni teneva consulto con i Paesi mediterranei probabilmente per iniziative di pressione comune in questo senso.

Quello della Corte di giustizia europea è un verdetto che dovrebbe arrivare a febbraio, con un parere non solo sulla legittimità dei trasferimenti provvisori in un Paese terzo, ma anche proprio su quali siano i Paesi sicuri. Un passaggio fondamentale anche per l’applicazione, dal 2026, del Patto europeo sulla migrazione e l’asilo, che prevede proprio la creazione di centri migranti dislocati in altre nazioni fuori dall’Europa per affrontare i casi con una procedura accelerata, perché l’idea della Meloni – in Italia tanto criticata – è stata invece vista come molto interessante da diversi Paesi dell’Ue che si trovano ad affrontare i nostri stessi problemi.

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