Caro direttore,
ammesso per ipotesi – e ovviamente in attesa di ogni necessaria conferma – che il video della pm Iolanda Apostolico provenga da qualche apparato dello Stato, cosa lo renderebbe diverso da una delle migliaia di intercettazioni giudiziarie filtrate in anni e anni sui media italiani? E perché gli strilli di queste ore su un presunto “dossieraggio di Stato”provengono spesso dalle stesse voci che hanno sempre inneggiato alla libertà di stampa (delle medesime intercettazioni) baluardo della democrazia, eccetera?
Potere pubblico sarebbe – in ipotesi –la fonte del video; potere pubblico (per di più inattaccabilmente autonomo) è stata per anni la magistratura che ha condotto le proprie inchieste a colpi di intercettazioni che sui giornali non avrebbero dovuto essere pubblicate fuori dalle prescrizioni di legge; e spesso hanno proposto come “sentenze” quelli che erano solo materiali utili ad impianti accusatori poi non di rado respinti in giudizio. Attori della vita pubblica erano i media che davano massima visibilità ad intercettazioni, spesso non pertinenti, fuggite dalle procure per colpire politici o imprenditori. Attore della vita pubblica è un uomo politico che posta su un suo account social un contenuto (sostanzialmente pertinente) riguardante una magistrata che – nell’esercizio delle sue funzioni – è intervenuta direttamente sulle scelte del Governo.
La tesi principale a sostegno della pubblicazione “selvaggia” delle intercettazioni è sempre stata che i cittadini “non possono non conoscere” una pretesa “verità occulta” nella politica e negli affari. Bene: l’episodio al centro del video Apostolico non è forse rilevante ai fini del dibattito pubblico? È forse meno importante della conoscenza in tempo reale che si ebbe – nell’estate 2005 – del ruolo del governatore della Banca d’Italia nella “guerra delle Opa bancarie”? Il quale Antonio Fazio, pochi mesi dopo, fu costretto alle dimissioni e poi processato mentre due importanti banche italiane vennero cedute a gruppi esteri con un ruolo da protagonista da parte delle procure. Oggi – a parti invertite – è la magistratura a soffrire: ma in uno “stile di vita democratica” che è stata la magistratura a introdurre nella “costituzione materiale” della Repubblica.
“Carta canta” è lo slogan-copyright del più famoso giornalista investigativo italiano nell’era delle intercettazioni. Una sua collana bestseller ha pubblicato per anni solo libri-pacchetto di brogliacci e stralci di verbali (quasi sempre inquisitivi). Questa volta a cantare è un video (par di capire incontestabilmente autentico): un “oggetto informativo” che tra l’altro, in sé, non accusa nessuno. Invece porta alla luce, senza ombra di dubbio, una “verità occulta” di un potere italiano. Questa volta non quello politico né quello finanziario.
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