Italia, Algeria, Libia e Tunisia alleate per una strategia regionale di controllo dei flussi migratori. Un obiettivo indicato nell’incontro che il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha avuto con i colleghi Brahim Merad, Imad Trabelsi, Kamel Fekih, riuniti al Viminale con l’intenzione di creare una cabina di regia comune, per tenere sotto controllo i movimenti delle persone che vogliono sbarcare in Europa raggiungendo via mare il suolo italiano. Un’intenzione che tiene conto delle dinamiche dei flussi che dall’Africa portano al Vecchio continente, ma che si scontra con la complessità del fenomeno dell’immigrazione.



L’orientamento dei quattro Paesi, infatti, è quello di prevenire il trasferimento dei migranti sulla costa agendo fin dall’area subsahariana. Ma in quella zona, spiega Mauro Indelicato, giornalista de Il Giornale e di Inside Over, ci sono diversi Paesi che hanno voltato la faccia all’Occidente, come Niger, Mali e Burkina Faso. Per un vero controllo dei flussi bisognerebbe accordarsi anche con loro. L’Italia per questo è in una posizione privilegiata, essendo l’unica nazione occidentale rimasta proprio in Niger, dopo il sopravvento della giunta militare golpista. Una presenza che potrebbe non bastare per incidere sul fenomeno dell’immigrazione irregolare, sfruttata dalle bande criminali.



Cosa rappresenta l’iniziativa di Roma?

I problemi sono affrontabili soltanto su scala regionale: se si pensa di fermare i flussi migratori tramite accordi con singoli Paesi si mette solo una pezza. In queste settimane si è fatto riferimento alla diminuzione degli sbarchi, elogiando gli accordi con la Tunisia, ma gli sbarchi proseguono: si continua a partire, se non da lì salpando da qualche altra parte. Poi bisogna tenere in considerazione anche i movimenti che avvengono a terra fra i Paesi nordafricani: c’è una rotta che porta interi gruppi di migranti dall’Algeria alla Tunisia.

L’intervento congiunto dei Paesi che si sono confrontati al Viminale punta soprattutto al controllo della zona subsahariana, dalla quale proviene la maggior parte dei migranti. Ma per gestire i flussi in quell’area bisogna parlare anche con altri interlocutori, Paesi che non vedono di buon occhio l’Occidente. L’alleanza regionale sancita a Roma può bastare?



Il problema non sono certo gli algerini, quando arrivano in Italia lo fanno giungendo con le loro imbarcazioni alle coste del Sulcis. Nel loro caso si tratta di un fenomeno di portata marginale, un centinaio di sbarcati rispetto a un problema che coinvolge migliaia di persone. Chi si muove dall’Algeria verso la Tunisia viene dai Paesi subsahariani, entra sfruttando la porosità dei confini tra il Mali e l’Algeria e l’instabilità del Sahel. Ma per l’Italia e l’Europa adesso è tutto molto più complicato perché questa area non solo è instabile, è anche un territorio in cui l’Occidente indietreggia: le giunte militari che si sono insediate negli ultimi anni chiedono la fine della presenza occidentale, nelle cui truppe vedono un elemento neocoloniale. In questa fase controllare i flussi dall’Africa subsahariana a quella del Nord è molto difficile. Algeria, Tunisia e Libia non hanno tutti i mezzi e forse neanche la volontà per controllare i loro confini, che sono molto grandi e difficili da tenere sotto osservazione: sono linee nel deserto e nulla più.

Insomma, bisogna andare al di là di un coordinamento regionale?

Occorre un’opera politica volta a cercare mediazioni con l’Africa subsahariana. L’Italia può svolgere un ruolo: è presente in Niger e il nuovo governo ha consentito la sua permanenza, a differenza di quello che è successo con francesi e americani. Abbiamo un contingente che non può affrontare il problema dei flussi verso la Libia, ma politicamente permette a Roma di svolgere un’opera importante nella mediazione e stabilizzazione dell’area. Un lavoro complicato che non dipende solo da noi, ma che resta una carta politica che si può giocare.

Come può agire la cabina di regia? Come può l’Italia sostenere Algeria, Libia e Tunisia e viceversa cosa può aspettarsi dai Paesi nordafricani per controllare i flussi?

La cabina di regia può essere utile se i Paesi nordafricani combattono le organizzazioni criminali che gestiscono il traffico di migranti: se vengono perseguite dai governi diventano meno aggressive. Non serve solo un controllo delle coste, ma un intervento a terra contro i trafficanti. Ridimensionerebbe la portata dei flussi migratori. L’Italia può promettere sostegno politico ed economico, soprattutto alla Tunisia. La questione, però, si intreccia con quella del petrolio e del gas. L’aspetto economico ed energetico è delicatissimo per l’Italia: dall’Algeria riceviamo gran parte del nostro gas. E anche gli algerini ci tengono a tenerci buoni come clienti: i nostri pagamenti sono introiti fondamentali per restare a galla. Algeri non è come Tunisi ma ha bisogno dei proventi dei gas.

Materialmente dovremo dare fondi per aiutare la Polizia locale a bloccare principalmente i flussi che dall’Algeria proseguono verso Libia e Tunisia?

Un obiettivo difficile da raggiungere, ma se si riesce a rintracciare una parte di questo flusso, dei trafficanti e di coloro che fanno parte della filiera dell’immigrazione, vuol dire subire meno partenze dalla Tunisia e dalla Libia. C’è un precedente: abbiamo fornito mezzi e soldi alla Libia, anche gli altri Paesi chiederanno le stesse cose.

Come avviene il passaggio dei migranti in Algeria prima di procedere verso le coste tunisine?

Ci sono migliaia di persone che attraversano il deserto affidate a dei criminali. Non sappiamo cosa succede veramente lì: è possibile pensare che a volte intere carovane nel deserto (algerino, libico o tunisino che sia) ci rimangono. Quando dal Niger si passa alla Libia o dal Mali all’Algeria accadono cose inenarrabili: tutto avviene in zone controllate da nessuno con persone gestite da gente senza scrupoli. Dall’Algeria alla Tunisia i passaggi non dico che siano più sicuri, ma avvengono attraverso la fascia costiera, in zone meno abbandonate rispetto al deserto.

Da dove arrivano le persone che vogliono sbarcare in Italia?

I Paesi di provenienza non sono cambiati: Costa d’Avorio, Burkina Faso, Ghana, Guinea, nazioni in cui è facile muoversi verso altri Paesi dell’area, che appartengono all’Ecowas, una sorta di Unione europea dell’Africa occidentale, dove non ci sono frontiere e dogane da attraversare. Il Nord del Mali e il Nord del Niger, però, sono completamente fuori controllo, in balia delle organizzazioni islamiste: territori destabilizzati di cui i trafficanti approfittano per far passare quanti più migranti possibile. Di fronte a questo scenario la cabina di regia arriva fino a dove può arrivare, ma resta un problema che riguarda la comunità internazionale, che va al di là anche dell’intervento dell’Italia e dell’Europa.

Il ministro degli Interni libico non controlla gran parte del suo Paese: la Libia è l’anello debole di questa alleanza per rallentare i flussi migratori?

A malapena controlla casa sua. Forse neanche tutta Tripoli. Al ministero dell’Interno fanno capo alcune milizie, ma non sono tutte quelle che controllano la capitale. Figurarsi se può operare nel Sud: se la Libia non ritrova la sua stabilità sarà difficile contrastare i flussi nella parte meridionale del Paese. Minniti da ministro dell’Interno aveva stretto accordi con le singole tribù, ma poi anche le altre vogliono lo stesso trattamento.

(Paolo Rossetti)

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