Troppe volte parlando di migranti lo si fa sulla base di “sensazioni” e raramente su dati statistici reali, anche se a volte le cifre ufficiali sembrano poco credibili e soprattutto non tengono conto di quegli immigrati che arrivano in Italia e in Europa sfuggendo a ogni filtro o soccorso, persone destinate di fatto alla perpetua illegalità.



Stando ai dati ufficiali, al 27 settembre di quest’anno erano arrivati in Italia dal “fronte Sud” (ovvero via mare, la rotta del Mediterraneo centrale) 48.646 persone contro le 133.240 dell’anno scorso e – sempre per lo stesso periodo – le 70.320 del 2022.

Significa che c’è stato un forte raffreddamento dei flussi legato alle politiche governative per restringere l’azione delle Ong nel Mediterraneo, anche se questi dati non tengono conto del flusso dal “fronte Est”, ovvero di persone che arrivano dalla penisola balcanica.



Colpisce il fenomeno dei minori non accompagnati, che nel 2022 furono 14.044, salendo a 18.820 l’anno scorso mentre sono stati 5.542  fino a metà settembre di quest’anno, ricordando però che sono minori auto-dichiaratisi tali, ma che spesso sono abbondantemente over 18, un trucco per garantirsi la permanenza dopo lo sbarco.

Interessante notare come stia fortemente diminuendo l’immigrazione dall’Africa, mentre è l’Asia il continente che spinge più migranti verso le nostre coste, in testa i 9.653 dal Bangladesh e gli 8.198 siriani. Sono di solito persone che in gran parte arrivano in Egitto e Tunisia via aerea e poi tentano la traversata grazie ad un vero e proprio commercio (ovviamente illegale) e catena di sfruttamento “all inclusive”. Seguono poi i tunisini (6.457) e gli egiziani (2.975), che sono invece accompagnati direttamente sulle coste per la traversata.



Per contro nel 2022 in Europa vi erano state 73.600 espulsioni di cui meno della metà effettivamente eseguite e di queste oltre la metà sono stati ritorni su base volontaria, soprattutto verso Paesi europei extra-UE come l’Albania.

Un altro capitolo poco sottolineato è la profonda differenza tra gli stessi immigrati e il loro grado di osservanza delle leggi. Scrivevo qualche tempo fa come su 14.000 filippini presenti in Italia solo 50 risultavano detenuti mentre su 426.000 marocchini erano detenuti ben 2.905, ovvero in proporzione 21 volte di più. Sarà un caso ma i primi sono cattolici, gli altri no e questo non è razzismo, ma realtà. È solo un esempio per sottolineare come per integrarsi conta molto la società di provenienza, la religione di appartenenza, il contatto più o meno già consolidato con la realtà europea.

Davanti a questo fenomeno ci si chiede perché l’Europa – oltre che sorvegliare le frontiere, adottare politiche di integrazione ecc. – non stipuli più stretti rapporti con alcuni Paesi per “filtrare” all’origine le partenze, soprattutto perché la gran parte dei migranti non riesce altrimenti a svolgere in Europa le mansioni o le professioni per cui ha studiato o che svolgeva in patria.

Se, ad esempio, il settore dell’assistenza è in crisi per l’insufficienza di infermieri o badanti, è anche vero che molto spesso non vengono riconosciuti i titoli di studio di chi emigra, soprattutto se l’immigrazione è stata irregolare. È assurdo usare come  lavapiatti un ingegnere nigeriano o umiliare una infermiera ospedaliera africana con 20 anni di esperienza solo perché non riesce a dimostrare i suoi titoli: possa sostenere un esame!

Affrontare queste problematiche imporrebbe un approccio più pragmatico, perché l’immigrazione legale in Europa è una necessità, gestibile non solo con i “decreti flussi” ma andando a individuare competenze e professionalità. Anziché pensare al solo recupero in mare – che è l’ultimo e spesso drammatico anello della catena –, sarebbe infinitamente più logico scremare all’origine i richiedenti asilo e gli immigrati economici, eppure questo discorso non riesce a decollare.

È spesso perfino impossibile (se non si paga una “mancia”) avvicinarsi ad una nostra rappresentanza diplomatica (provare per credere), così come mi sono sempre chiesto perché, ad esempio, le Conferenze episcopali africane non operino in sinergia con la CEI per preparare all’emigrazione chi vuole giocare la carta europea.

Trasformare l’immigrazione in risorsa è una necessità per l’Europa ma nello stesso tempo bisogna impedire gli abusi, i traffici di carne umana.

Eppure, come si è visto anche nei recenti colloqui tra la Meloni e Scholz, solo così si possono impedire le vittorie xenofobe che crescono sulle conseguenze dello status di illegalità di troppi immigrati che però, almeno in parte, sono stati obbligati dalle circostanze a non potersi integrare.

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