Nella giornata di ieri si è tenuta l’ultima “tappa” degli incontri internazionali, specialmente con i paesi africani, della premier Giorgia Meloni sul tema dei migranti. Non un vero e proprio viaggio, quanto piuttosto un’accoglienza a Roma, che ha visto arrivare il generale della Libia Khalifa Haftar, attuale leader nell’area della Cirenaica, tra le principali basi di partenza dei richiedenti asilo che decidono di optare per le rischiose tratte illegali. Preceduto da un ulteriore vertice di Haftar con il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, nel vertice di ieri durato due ore la premier e il generale non hanno parlato solamente di migranti, ma anche dell’attuale posizione libica rispetto alle Nazioni Unite e della leadership della Libia.
Migranti: gli accordi tra Italia e Libia
Insomma, il vertice tra la premier Meloni e il generale Haftar sembra, da fonti interne a Palazzo Chigi citate da alcuni media italiani, essersi concentrato sui migranti, ma non in maniera esclusiva. Il generale libico, infatti, ci ha tenuto a riportare in auge la delicata situazione della Libia, attualmente divisa in due tra l’area di Tripoli (in cui vi è una marca influenza del premier Dabaiba) e l’area della Cirenaica (dove, appunto, è più influente Haftar) e minacciata dalla ancora più delicata area del Sudan, in cui le azioni della Wagner russa si fanno sempre più violente.
La premier italiana ad Haftar ha chiesto una collaborazione per la gestione dei migranti, rispettando a grandi linee quanto già postulato nel piano chiamato Mattei, che prevede tra le altre cose una gestione interna nei paesi di partenza dei richiedenti asilo, riducendo il braccio lungo dei trafficanti. Dal conto suo, invece, Haftar ha chiesto una collaborazione da parte dell’Italia per la gestione della situazione in Sudan, che peraltro costringe i sudanesi a scappare in Libia, per diventare di fatto migranti tramite la rotta illegale. Similmente, il generale vorrebbe anche l’appoggio italiano alla missione Onu in Libia per riattivare il percorso politico verso delle elezioni giuste nel paese, fissate secondo le Nazioni Unite per la fine del 2023.