I centri si apprestano ad accogliere i primi migranti: le strutture per attuare il protocollo di intesa fra Italia e Albania sono pronte per essere utilizzate a Gjader e Shengjin. Il piano per accogliere i richiedenti asilo fuori dal territorio nazionale e valutare lì se posseggono i requisiti o meno per costruire un futuro in Europa arriva alla prova dei fatti: molte sono state le critiche mosse per una soluzione comunque tenuta in considerazione anche a livello UE, ma ora si potrà verificare in concreto se si tratta di un modello che funziona o meno.



Le perplessità, spiega Alessia Di Pascale, docente di diritto dell’Unione Europea nell’Università Statale di Milano, esperta di problemi migratori, sono diverse, l’ultima delle quali sollevata dalla Corte di giustizia europea, che in una sentenza relativa a un caso nella Repubblica Ceca ha dato una definizione di Paese sicuro che potrebbe mettere in difficoltà il progetto italo-albanese.



Iniziamo dalla legge italiana: cosa dice sull’utilizzazione dei nuovi centri in Albania?

La legge di ratifica del protocollo Italia-Albania non puntualizza come avvenga la selezione delle persone intercettate in mare. Sui giornali si legge che dovrebbero essere solo maschi adulti, ma nella legge non è specificata questa categoria di persone.

Cosa dicono allora nello specifico le nuove norme?

La legge del 21 febbraio rinvia all’articolo 1 del protocollo, che definisce come soggetti all’applicazione di questo processo di invio verso l’Albania i “cittadini di Paesi terzi e apolidi per i quali deve essere accertata la sussistenza o è stata accertata l’insussistenza dei requisiti per l’ingresso, il soggiorno o la residenza nel territorio della Repubblica Italiana”. Non c’è un’indicazione specifica su come sarà effettuata la valutazione sull’opportunità di trasferimento in Albania o in Italia dei migranti raccolti in mare, ma il filtro può essere ricavato sulla base delle norme che definiscono le persone assoggettabili alle procedure accelerate, quelle che saranno appunto svolte in Albania, e delle norme che nell’accoglienza dei migranti impongono di tenere conto della specifica situazione dei soggetti vulnerabili, nozione che include tra l’altro anziani, minori, disabili, vittime di tratta, violenza o tortura, persone affette da gravi malattie o disturbi mentali.



Che problemi potrebbe comportare la realizzazione di questo filtro nel momento in cui si sceglierà quali migranti inviare nei centri in Albania?

L’identificazione di minori, quando hanno 16-17 anni, prevede una procedura complessa. Come sarà effettuata? Nei casi dubbi saranno portati in Italia o in Albania e le valutazioni verranno fatte lì? Stesso problema per quanto riguarda le categorie vulnerabili, come le vittime di tortura, violenza o tratta o le persone che abbiano problemi di salute fisica e mentale non manifesti. Il primo elemento di criticità è come sarà effettuato questo filtro. In teoria dovrebbe avvenire sulle navi.

Per gli adolescenti è difficile stabilire se una persona è minore o no? È questo il tema?

Certo. E lo stesso si può dire anche per altre situazioni che richiedono una valutazione più ponderata. Cosa succederà lo vedremo nella pratica. Anche se in Albania saranno portati solo uomini maggiorenni provenienti da Paesi sicuri, bisognerà capire come sulla nave verrà accertata la provenienza. Immagino che quasi tutti i maschi adulti che non presentino evidenti elementi di criticità saranno portati in Albania e lì verranno svolti gli accertamenti.

Ammesso che il filtro funzioni e che in Albania arrivino solo maschi adulti provenienti da Paesi sicuri, cos’altro può essere messo in discussione?

La Corte di giustizia il 4 ottobre ha interpretato una norma contenuta in una direttiva del 2013 che consente agli Stati membri di identificare gli Stati sicuri, norma sulla cui base l’Italia adotta decreti ministeriali che identificano, appunto, i Paesi terzi sicuri. La Corte ha chiarito che non può considerarsi sicuro un Paese che non lo sia interamente. La condizione di insicurezza, anche se circoscritta solo a una parte, a una regione, può comportare che quel Paese non possa essere qualificato sicuro come tale. Una nozione che si basa su criteri tra cui il rispetto dei diritti, la non applicazione generale di tortura o altre forme di pena o trattamento disumano o degradante, la conformità al principio di non respingimento e altri ancora.

L’Italia, come altri Paesi, stabilisce quali sono i Paesi sicuri, anche se poi questo può essere contestato in sede giurisdizionale?

La Corte dice che il giudice deve prendere in considerazione la situazione complessiva del Paese. Il caso specifico riguarda un cittadino moldavo. La Repubblica Ceca gli aveva negato l’asilo identificando la Moldavia come Paese terzo sicuro, mentre non lo sarebbe perché c’è una regione, la Transnistria, che invece non viene ritenuta tale.

In Albania dovrebbero arrivare solo gli uomini che provengono da Paesi sicuri; quelli che vengono da Paesi insicuri seguono un altro circuito?

Gli altri vengono portati in Italia seguendo una procedura piena. Il protocollo ha numerose criticità rispetto al filtro: se si chiede a una persona da dove arriva mentre si trova ancora sulla nave non è detto che risponda in maniera puntuale. Bisogna vedere, insomma, come avverrà la selezione dei richiedenti asilo, ma anche se questa avverrà attuata in maniera puntuale, la sentenza della Corte di giustizia rischia di avere un impatto.

In che modo?

Nel decreto italiano del 2024 i Paesi sicuri sono 22: Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia-Erzegovina, Camerun, Capo Verde, Colombia, Costa d’Avorio, Egitto, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Nigeria, Perù, Senegal, Serbia, Sri Lanka e Tunisia. La pronuncia della Corte di giustizia europea è idonea a mettere in discussione l’applicazione anche in relazione a questi 22 Paesi: potrebbero non essere ritenuti sicuri.

Se i migranti provengono da Paesi sicuri, di regola vuol dire che non hanno i requisiti per fare domanda di asilo?

La circostanza che una persona provenga da un Paese di origine sicuro introduce una presunzione di sicurezza rispetto a quel Paese che non è insuperabile, ma che, per concedere la protezione, prevede la presenza di gravi motivi individuali.

Il modello dell’intesa Italia-Albania gode di considerazione a livello europeo. Potrebbe essere preso come punto di riferimento?

Il modello solleva interesse a livello europeo; la presidente Ursula von der Leyen, in una lettera ai capi di Stato, prima della sua riconferma, aveva sottolineato l’importanza del Patto UE sulla migrazione e sull’asilo, sostenendo tuttavia che non esaurisce la riflessione sulle strategie per prevenire l’immigrazione irregolare e dichiarando che le modalità che alcuni Stati dell’Unione stanno valutando, senza menzionare esplicitamente il caso italiano, meritano attenzione.

Bisognerà vedere come sarà sviluppato il piano italiano?

Al di là della sua efficacia, da verificare, il modello è suscettibile di influenzare le politiche europee: molti Stati membri sono interessati e la presidente della Commissione UE lo ha menzionato. È un profilo che anche per questo merita un maggiore scrutinio circa la compatibilità con i diritti fondamentali: potrebbe addirittura diventare un modello di riferimento.

È plausibile pensare che in merito al protocollo verranno presentati molti ricorsi?

Penso di sì. Gli aspetti da chiarire sono tanti: anche la legge di ratifica ha lasciato indefiniti moltissimi aspetti dell’operatività, anche se ho letto che è stato fatto perché si voleva un testo snello. La morale della storia, però, è che l’applicazione pratica non è definita nel dettaglio. Vedremo cosa succederà nelle prossime settimane e mesi e come avverranno le convalide del trattenimento nei centri da parte dei giudici, da effettuarsi entro 48 ore. È prevedibile che seguiranno già i primi ricorsi nei prossimi giorni.

(Paolo Rossetti)

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