Dopo lunghe trattative l’Unione Europea è riuscita a trovare un primo accordo tra i Paesi membri sul regolamento per la gestione delle crisi migratorie come parte dalla riforma europea dell’asilo. Un’intesa raggiunta a maggioranza, con il no di Polonia e Ungheria e l’astensione di Austria, Repubblica Ceca e Slovacchia. Un risultato della presidenza spagnola della Ue, anche in vista del Consiglio europeo di questi giorni a Granada, che poi dovrà essere valutato nella fase di negoziazione con il Parlamento europeo.



Per arrivarci si è dovuto togliere il punto di maggiore attrito tra Italia e Germania, quello relativo al ruolo delle Ong, aiutate dal Governo tedesco, mentre secondo il Governo italiano resta il tema della loro attività in contesti che potrebbero rientrare nell’uso strumentale delle migrazioni. Per il resto però, per quel che se ne sa finora, viene sancito un principio di solidarietà tra i Paesi europei per cui nei momenti di crisi le nazioni che devono far fronte ad arrivi massicci possono essere sostenute dalle altre con ricollocamenti e anche valutando le domande di protezione internazionale presentate. Ma si parla anche della possibilità di trattenere per un tempo più lungo i richiedenti asilo per le verifiche del caso.



Il sistema di Dublino non viene superato, spiega Fabio Caffio, ammiraglio, esperto di diritto internazionale marittimo, ma ora ci sono finalmente dei meccanismi stabili per gestire le emergenze migratorie. Ora però la proposta deve proseguire il suo iter.

Ammiraglio, la Ue ha raggiunto un accordo, anche se non all’unanimità, sul regolamento relativo alle crisi migratorie, stralciando però, come chiedeva il nostro Governo, il tema delle Ong, al centro del dissidio tra Italia e Germania. Si potrà può trovare un punto di equilibrio anche su questo?

Non credo sia possibile per noi accettare che alle Ong sia attribuito nel soccorso in mare (Sar) un ruolo per così dire pubblico, finanziato con fondi Ue. L’Italia ha il più efficiente servizio Sar del Mediterraneo e quindi non può accettare che la funzione svolta da navi private venga istituzionalizzata. Altro sarebbe stato se i Paesi mediterranei avessero stretto un patto per il Sar dei migranti, mettendo in comune assetti navali e definendo procedure per lo sbarco in un luogo sicuro (Pos) non necessariamente italiano le persone salvate.



Operativamente come si colloca l’azione delle Ong nelle aree di passaggio dei barconi che trasportano i migranti: quali regole devono seguire e quale ruolo possono giocare in questo contesto?

Le Ong operano nel Mediterraneo centrale dal 2014, dopo che si verificò il naufragio di Lampedusa. Le persone salvate da loro sono tante: basti dire che nel 2015 raggiunsero il numero di circa 40mila, esattamente eguale a quello dei migranti salvati l’anno prima dalle navi mercantili commerciali. I migranti furono tutti sbarcati in Italia. E così negli anni successivi, quando l’attività delle Ong si consolidò. A partire dal 2018 si verificarono criticità nella Sar libica, quando le autorità di Tripoli vietarono loro di operare, sulla base del principio per cui il Paese responsabile della Sar può impedire che intervengano mezzi che agiscono in autonomia senza alcun coordinamento. A partire dal “caso Rackete” l’Italia, sulla base di una pronuncia della Cassazione del 2020, ha accettato che le Ong abbiano, a certe condizioni, il diritto/dovere di salvare i migranti trasportandoli in un porto italiano.

Oggi le nostre norme cosa dicono?

Attualmente, il Dl 2 gennaio 2023, n.1 regolamenta l’attività delle Ong che, sotto il coordinamento della nostra Guardia costiera, siano autorizzate dall’Interno a entrare in un porto italiano. In ambito europeo, la posizione assunta dall’Italia è però isolata, non essendo stata svolta alcuna azione per armonizzare con la nostra le legislazioni degli altri Stati. Va ricordato inoltre che alcuni Paesi come Germania, Olanda e Norvegia, hanno più volte respinto le richieste italiane di farsi carico dello sbarco, in un proprio porto, di persone salvate da navi Ong di bandiera.

Il meccanismo definito con l’accordo, che deve passare ora alla fase di negoziazione del Parlamento europeo, stabilisce un principio di solidarietà da parte dei Paesi Ue nei confronti delle nazioni di primo arrivo nei momenti di crisi. Potranno dare una mano con i ricollocamenti dei migranti e valutando le domande di protezione internazionale. Se approvato definitivamente sarebbe un cambiamento sostanziale, soprattutto per l’Italia?

L’intesa non rappresenta un superamento del sistema di Dublino, che incardina nel Paese di primo approdo la responsabilità di valutare la posizione degli aventi diritto a protezione internazionale. Tuttavia, è rilevante che per la prima volta i meccanismi di ricollocamento siano strutturati in modo stabile qualora si verifichino emergenze migratorie; positivo è anche la definizione di procedure rapide per l’accertamento del diritto all’asilo.

Alcune nazioni hanno manifestato la loro contrarietà alle nuove regole. È ancora presto per considerare questa intesa una svolta anche a livello politico o è comunque un passo significativo?

Va dato atto a Spagna (quale Paese che ha la presidenza semestrale del Consiglio Ue) e a Malta (che è membro temporaneo del Consiglio di sicurezza) di essersi impegnate nel considerare le istanze italiane superando l’impasse con la Germania. Anche la posizione francese va considerata a noi favorevole. Non c’è da meravigliarsi, invece, che Polonia e Ungheria – da sempre su posizioni massimaliste – continuino a dirsi contrarie in via di principio a qualsiasi forma di ricollocamento. Sicuramente la via intrapresa, che dovrà essere confermata dal Parlamento Ue, potrà avere successivi sviluppi dopo le prossime elezioni Ue.

Al di là della gestione delle fasi particolarmente critiche, cosa c’è da fare per definire regole chiare anche nelle altre fasi dei flussi migratori, per esempio relativamente alla lotta ai trafficanti e al soccorso in mare?

Per il Sar non sembra che l’Ue – che non ha comunque proprie competenze in materia, aggiuntive rispetto a quelle degli Stati membri – possa far più che invitare i singoli Stati a cooperare tra loro nello spirito delle disposizioni sul soccorso in mare dell’Unclos e della Convenzione di Amburgo 1979. Va segnalato comunque che l’Unione ha in programma di fornire assistenza alla Tunisia per lo sviluppo di capacità di soccorso e per la definizione di una propria zona Sar. Quanto alla lotta ai trafficanti ed agli scafisti, esiste già il framework, nell’ambito dell’Ufficio delle NU per droga e crimine (UNODOC), del Protocollo di Palermo del 2000. Questa intesa, entrata in vigore nel 2004 e ratificata da tutti i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, è di fatto disapplicata. L’Italia potrebbe attivarsi per renderla operativa mediante il “Rome Process” lanciato lo scorso giugno nel corso della Conferenza sulle migrazioni. Da segnalare inoltre che lo scorso 28 settembre sono circolate notizie su un’iniziativa del Consiglio di sicurezza dedicata al contrasto in mare a scafisti e trafficanti in corso di esame.

(Paolo Rossetti)

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