Caro direttore,
la vicenda della barca a vela Migrantes inviata dalla CEI in soccorso dei migranti nel Mediterraneo ha sollevato un certo scalpore mediatico e nette divisioni tra favorevoli e contrari. In realtà, la vicenda presenta molteplici sfaccettature, che rendono difficile un giudizio bianco e nero.

Prima ancora di analizzare i vari aspetti della questione, si poteva supporre che la CEI tenesse una posizione più chiara e al contempo più cauta nello spiegare la sua iniziativa. Più chiara, non coinvolgendo l’intera questione delle migrazioni, ma focalizzando l’intervento su un doveroso aiuto a limitare le perdite di vite umane nelle tragedie in mare (si parla di un migliaio dall’inizio del 2024). Quindi più cauta nel descrivere l’operazione per evitare che, appunto, venisse presa come una netta presa di posizione nell’intera questione della migrazione. Così da non causare immediate e inutili polemiche politiche, come è subito avvenuto da destra e sinistra, con motivazioni ovviamente contrastanti.



Invece, i toni sono stati un po’, mi si passi il termine, “propagandistici”, perché la Migrantes, la barca a vela della CEI, “si occuperà delle fasi di monitoraggio e informazione”. Le vere e proprie operazioni di salvataggio dei naufraghi verranno condotte dalla nave Mare Jonio della ONG Mediterranea Savings Humans. Per monitorare e informare non bastavano giornalisti ed esperti imbarcati sulla Mediterranea e magari su imbarcazioni di altre ONG?



Qui vi è un altro elemento destinato ad alimentare le polemiche, cioè il fatto che il capo della Mediterranea sia Luca Casarini, uno dei principali leader dei movimenti no-global. Una certa polemica aveva già suscitato nel 2023 il suo invito al Sinodo dei vescovi, voluto dal Papa come “invitato speciale”. In quell’occasione, Casarini affermò che l’esperienza con i migranti lo aveva riavvicinato alla Chiesa.

È prevedibile che la polemica su questi e altri aspetti di maggior richiamo mediatico e polemico si prolunghi nel tempo, mentre i problemi reali continueranno a non essere affrontati. E ad essere anche travisati, perché il problema delle tragedie in mare non è sovrapponibile al problema delle migrazioni fino ad offuscarlo. Di per sé, queste tragedie possono essere evitate fornendo ai migranti imbarcazioni sicure, togliendo il traffico ai commercianti di vite umane.



“Soccorrere e non respingere o abbandonare è la legge del mare, che mette al primo posto sempre la vita delle persone. Solo dopo il soccorso e l’accoglienza si può valutare un percorso di rientro in patria o di tutela e protezione dei migranti”. È la dichiarazione dell’arcivescovo di Ferrara-Comacchio, Gian Carlo Perego, presidente della Fondazione Migrantes e della Commissione episcopale per le migrazioni della CEI.

Per l’appunto, il salvataggio di vite in mare riguarda tutti, non solo i migranti, e i naufragi comportano sempre la ricerca di cause ed eventuali responsabili; vedasi il recente caso del naufragio del megayacht Bayesian al largo di Palermo. Cosa tuttavia difficile da realizzare nei confronti dei trafficanti di vite umane, responsabili non solo della traversata del Mediterraneo, ma anche delle tratte che attraversano l’Africa via terra, Così come tragica è la situazione nei campi di concentramento in cui vengono bloccati i migranti sull’altra costa del Mediterraneo.

Il problema della migrazione pertanto non è riducibile, per quanto possa essere doloroso dirlo, al migliaio di vittime in mare, al quale dovremmo peraltro aggiungere tutte le vittime, sconosciute, del lungo viaggio dai Paesi di origine alle coste africane. Il problema fondamentale è dato dalle situazioni, economiche, sociali, culturali, conflittuali nei Paesi di origine che spingono ad emigrare in cerca di una vita vivibile. E la possibilità in gran parte è data da organizzazioni che sfruttano queste situazioni, con la complicità frequente di governi e potentati locali, imponendo costi ai migranti che selezionano fin dall’inizio chi può partire. Spesso lasciando in condizioni più disperate chi è costretto a rimanere.

In tutte queste situazioni la Chiesa è ben presente, concretamente, non solo per monitorare e informare, come si limitano invece a fare molti governi e grandi istituzioni interstatali e finanziarie.

Infine, vi è un altro elemento di polemica che, a mio parere, diventa sovente specioso: il concetto di accoglienza. L’accoglienza non può essere ridotta solo a un’opera buona o a un’ideologia progressista, con una manichea divisione tra buoni e cattivi. L’accoglienza non è il sentimento di un momento, è accettare che appartenenti a popoli diversi, con storia, lingua, cultura, religione, usi diversi tra loro e con noi vengano a vivere stabilmente con noi. Senza che ciò porti a processi di assimilazione che cancellino totalmente la loro diversità, né che essa venga mantenuta con la costituzione di ghetti.

Una cosa tutt’altro che semplice e meccanica, come dimostra l’esperienza di vari Paesi, si veda per esempio l’attuale situazione difficile della Svezia. In questo scenario, una barca a vela per monitorare e informare rischia di non significare molto.

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