Italia e Francia più alleate per controllare il flusso dei migranti. Due Paesi che fino a qualche giorno fa erano su posizioni assolutamente opposte su questo tema ora sembrano voler unire le forze per realizzare un piano di lunga durata che parta dallo smantellamento delle organizzazioni criminali che gestiscono le partenze illegali e che miri però a una collaborazione sempre più stretta, in particolare con i Paesi africani, per lo sviluppo economico delle aree da cui provengono i flussi migratori.



Un progetto ambizioso, spiega Francesco De Remigis, già inviato a Parigi, esperto di questioni francesi e di immigrazione per il Giornale. Per affrontare i flussi, in una considerazione sempre più globale del fenomeno, si pensa anche a un coinvolgimento dell’Onu, ma intanto si cerca il sostegno di altri Paesi europei, se non di tutti e 27, almeno del Mediterraneo, e, perché no, persino di potenze come gli Usa. Già venerdì, al Med 9, si potrebbe registrare l’adesione di qualche Paese, in attesa del Consiglio europeo informale di Granada della prossima settimana. Perché il piano italiano, italo-francese nell’auspicio del Governo italiano, dovrebbe essere presentato al Consiglio europeo del 26 ottobre.



Da cosa partiranno concretamente Italia e Francia per affrontare la questione migranti, ancora da Ventimiglia?

Ventimiglia, in questo momento, è un tema caldo che si tende a congelare, anche se Tajani lo ha sottoposto all’omologa francese Colonna, e con una certa forza. L’idea comune è di agire quanto prima in modo più che concreto in Nordafrica. Italia e Francia però non vogliono farlo da sole. Si pensa a una strategia che coinvolga più Paesi possibili, se non l’integralità dei 27 della Ue, con azioni in Nordafrica che facciano parte di un piano di collaborazione stretta ed effettiva, non a singhiozzo come avviene oggi, per distruggere i barchini prima che partano e scardinare una rete di trafficanti che è diventata un sistema di criminalità organizzata. Anche con investimenti in Africa, dentro un patto per rimpatri immediati garantiti dalle Nazioni Unite.



Come si intende procedere per colpire le organizzazioni criminali?

Per attaccarle si deve chiedere, se non un permesso alle autorità tunisine (ma poi si può agire anche in Algeria e Libia) almeno un via libera di massima per portare in loco uomini e mezzi, distruggendo i barchini che vengono assemblati in piccoli depositi e che poi prendono il largo da Sfax per l’Italia. Per fare questo c’è bisogno di più consenso possibile tra i Paesi del Mediterraneo. Lo si cercherà già a partire da venerdì, a Malta, in occasione dell’incontro fra i Paesi che hanno affacci sul mare. Quello più esposto rimane l’Italia: la Grecia ha scoraggiato i flussi e Malta se interviene indirizza le barche verso il nostro Paese.

Concretamente come si agirà?

La Francia ha proposto di prendere a modello il sistema di Calais, dove gli inglesi sulla costa continentale collaborano con i francesi per smantellare la rete dei passeurs che portano i migranti verso la Gran Bretagna, per arrestarli e non far partire i migranti, che molte volte in questi viaggi muoiono. Le Monde ha fatto diversi servizi documentando decessi dopo aver lanciato l’Sos senza che i guardiacoste francesi e inglesi intervenissero.

Il sistema Calais è stato approvato dagli italiani?

Questo sistema per Macron è un modello, e con gli italiani si potrebbe proporre alla Tunisia sulla base di quanto già detto da Meloni e Tajani all’Onu. L’opzione di distruggere la logistica dei trafficanti in Nordafrica che illudono molti immigrati e li spingono a partire su barchini fatiscenti fa parte di una strategia che va allargata nel medio e lungo periodo, coinvolgendo la Ue e con lei Paesi con maggiori disponibilità, come gli Usa. L’Italia ha sollevato il problema migratorio all’Onu, Tajani l’ha definita una polveriera che è già esplosa: il fenomeno è oggi all’attenzione del mondo. E qualche effetto si è già visto.

Un piano che non può prescindere dalla collaborazione dei Paesi di partenza dei migranti. Il primo da coinvolgere è la Tunisia?

La svolta di Macron è stata la sostanziale adesione alla visione della premier Meloni, l’idea di parlare necessariamente con le autorità dei Paesi di partenza dei migranti, a prescindere da chi sia il governo di riferimento, anche se si tratta di un autocrate come Saied e di una democrazia che ha sfumature discutibili. Si punta a cooperare trovando soluzioni in loco per esaudire le richieste di partenze legali e distinguerle da quelle illegali.

Si è parlato anche di un piano di rimpatri da sviluppare sempre sotto l’egida dell’Onu, si agirà anche su questo?

Questo sarebbe un altro step ed è quello più lontano: i rimpatri sono complicati perché non ci sono accordi con alcuni Paesi di provenienza. E qui entrerebbe in gioco l’Onu, secondo lo spirito emerso nella conferenza internazionale su sviluppo e migrazione che si è svolta a Roma questa estate, appoggiata anche dalla presidente della Commissione europea. Un sostegno importante quello della Von der Leyen. Il piano prevede interventi nell’immediato per ridurre le partenze, con mezzi nel Mediterraneo, ma anche un progetto di medio e lungo periodo. Serviranno anni per realizzare tutti i passaggi.

Si pensa, quindi, a una sorta di polizia internazionale che agisca contro i trafficanti, un intervento strutturale, che duri nel tempo?

Questa l’idea di massima, anche se quando si parla di Onu i piani possono cambiare da una settimana all’altra. Si vuole internazionalizzare l’approccio al fenomeno dell’immigrazione. Alle Nazioni Unite si è ipotizzata anche la creazione di campi hotspot, con supervisione dell’Onu. Il primo step, del quale mi pare abbiano discusso oggi Macron e Meloni nell’incontro di Roma, è di esercitare un forcing con i partner europei perché condividano la volontà di andare in Africa a smantellare la rete dei trafficanti, anziché concentrarsi come fa la Germania sul foraggiare l’azione delle Ong nel Mediterraneo.

Il piano, comunque, prevede anche interventi in altri campi, come quello economico. Anche su questi si agirà in seguito?

Ci sono le altre parti contenute nel piano Mattei che prevedono ad esempio numerosi investimenti per sostenere lo sviluppo dell’Africa stessa. Sono però passaggi che vanno costruiti gradualmente sui quali oggi, a livello pratico, non possiamo avere una risposta. Se non quella della Francia, che ha aderito a questo cambio di paradigma messo in campo del Governo Meloni. Una cosa inedita: Italia e Francia sull’immigrazione sono sempre state su posizioni quasi opposte, la Francia da inizio anno ha respinto 20mila migranti in Italia. Ora l’atteggiamento è cambiato, almeno l’approccio: si è sviluppata una sensibilità diversa. Macron ha riconosciuto Lampedusa come un tema europeo e non solo italiano e a Meloni di voler agire in coordinamento con la Ue.

Prima di realizzare questo piano passeranno anni. Nell’immediato, quali azioni verranno messe in atto per cercare di controllare i flussi di migranti? C’è anche una strategia di breve termine?

Sul piano politico la prima fase è di far cambiare la sensibilità degli altri Paesi europei. E questo, appunto, è già successo con la Francia. Sul campo invece il passaggio è di aiutare l’Italia nelle procedure di verifica, di accoglienza, nella registrazione degli arrivi e delle richieste di asilo. Su questo punto c’è ancora scetticismo. Altrimenti vale sempre il regolamento di Dublino che si sta cercando di superare col nuovo patto immigrazione e asilo. Ma tanto Parigi quanto Berlino lo applicano tuttora.

Ma la Francia è ancora disposta ad accogliere i profughi?

A oggi il ministro dell’Interno ha detto una cosa diversa, e cioè che le persone che arrivano a Lampedusa non possono venire in Francia. C’è una distonia, però sia Tajani che Meloni pensano che si possa avere una grande mano da Parigi, sia nell’operazione di registrazione delle domande di asilo, sia con un’azione comune in Africa, anche non in chiaro, per così dire, attraverso un coordinamento degli apparati di sicurezza e dei servizi segreti in Tunisia e in altri Paesi del Maghreb, per cominciare a dare la caccia ai trafficanti. Il piano italiano comunque deve andare di pari passo con quello di dieci punti presentato da Von der Leyen, A oggi un’alleata del governo Meloni, anche se in scadenza.

(Paolo Rossetti)

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