Da sempre l’immigrazione è tema divisivo, con il Governo che si affanna a mettere toppe ad un sistema complicato in perenne emergenza sotto la pressione dell’opinione pubblica. Messa sotto scacco dal moltiplicarsi degli arrivi, se la Meloni frena è accusata di insensibilità o peggio, ma se non blocca gli arrivi indiscriminati è oggetto di critiche feroci, visto che – secondo Termometro Politico – quasi il 75% degli italiani vorrebbe un ben più forte blocco alle frontiere.



In questo clima già incandescente la sentenza della giudice di Catania Iolanda Apostolico è benzina sul fuoco anche perché, rimettendo in libertà tre tunisini detenuti da pochi giorni nell’ hotspot di Pozzallo, dà un’interpretazione prettamente “politica” ai recenti decreti governativi dichiarandoli inaccettabili e di fatto scatenando nei prossimi giorni migliaia di ricorsi di richiedenti asilo politico temporaneamente “ospitati” nei vari campi in attesa di verifica dei loro titoli per l’eventuale accoglienza in Italia.



Il caso di specie – perché ciascuna causa è storia a sé – è legato alle motivazioni con cui sono stati accolte le richieste di alcuni immigrati tunisini che rifiutavano di essere richiusi nelle strutture. La giudice, infatti, ritiene illegittime le norme del Governo e quindi “libera tutti” senza tener conto delle motivazioni addotte dalla Questura di Ragusa che, tramite il ministero, farà ricorso.

Innanzitutto il giudice sostiene che nonostante la Tunisia sia un “Paese sicuro” singoli individui possano essere “a rischio”, e già questo è un precedente, anche perché poi le giustificazioni individuali lasciano perplessi: un ricorrente che dichiara di sentirsi minacciato dai parenti della propria fidanzata lasciata in patria, un altro perché “perseguitato dai cercatori d’oro del suo Paese che, secondo credenze locali, per le sue linee della mano lo cercano ritenendolo favorevole alle loro attività”, un altro perché inseguito – ha dichiarato, con ricorso accolto – dai propri creditori.



Il caso delle linee della mano appare un po’ demenziale: anche se l’immigrato fosse inseguito dai cercatori d’oro del proprio villaggio non poteva trasferirsi in altro luogo? Di sicuro due dei detenuti erano già stati espulsi dal nostro Paese, ma ci sono ritornati: anche qui è evidente la violazione di legge, ma su questo la giudice Apostolico sembra sorvolare.

Ma sopra i casi di specie c’è la questione di principio, con una giudice che auto-giudica sbagliati i decreti e quindi opera di conseguenza. Ma nella Carta costituzionale i giudici non devono applicare la legge, anziché giudicarla, con comunque le possibilità di sollevare – ma in altra sede – eventuali legittimi dubbi costituzionali? Non si decide “un tanto al chilo” se una legge vada bene o no, perché altrimenti cade il concetto giuridico della imparzialità del magistrato e le sue opinioni politiche diventano determinanti.

Per questo più ancora che la decisione di Catania colpisce la dichiarazione del presidente dell’Associazione nazionale magistrati (Anm) Giuseppe Santalucia che ha commentato all’Ansa: “Noi non partecipano all’indirizzo politico e governativo, facciamo giurisdizione. È fisiologico che ci possano essere provvedimenti dei giudici che vanno contro alcuni progetti e programmi di governo. E questo non deve essere vissuto come una interferenza, questa è la democrazia”.

Una semplice, libera opinione, perché questo atteggiamento può diventare proprio un attentato alla democrazia (e far cadere lo stato di diritto) se un giudice interpreta con il “suo” metro di giudizio se una legge sia o meno legittima. Evidentemente lo spirito di difesa di casta è più forte dei principi costituzionali e dei reciproci ruoli istituzionali.

Nella pratica la giudice di Catania apre la strada ad una voragine di ricorsi e a mio avviso esprime molta ipocrisia: sia per le motivazioni chiaramente poco credibili dei detenuti, prese per buone a giustificare il loro (reiterato) arrivo clandestino in Italia pur da una un “Paese sicuro”, giustificando in questo modo l’arrivo di tutti, sia per il giudizio “politico” sul decreto del Governo.

E pensare che forse al Governo questa sentenza farà pure un favore, perché potrà sostenere: “Io ci provo, ma se poi i giudici liberano tutti…”,  moltiplicando la distanza magistrati-cittadini.

Nella bolgia europea, piena di contraddizioni, interessi nazionali contrapposti e carenze normative comuni cresce intanto il problema dell’accoglienza di centinaia di migliaia di persone che non si sa più dove mettere (respinti anche da quelle regioni rosse che criticano il governo se “filtra” gli arrivi) e in questo senso la sentenza di Catania non aiuta.

L’impressione è che una volta di più la questione migranti sia un alibi per condizionare una riforma del sistema giudiziario che una parte dei magistrati non accetta, non esitando perciò a mettere il bastone tra le ruote dell’esecutivo.

E pensare che quel tunisino che ha “le mani d’oro” potrebbe trovare un eccellente lavoro ovunque. Ci pensate? Un rabdomante dei filoni auriferi…forse il ministro Giorgetti lo assumerebbe subito al suo ministero.

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