Il 18 ottobre scorso il Tribunale di Roma, interpretando un sentenza europea abbastanza discussa, ha disapplicato la politica governativa che prevede la dislocazione in Albania di immigrati clandestini senza diritto di asilo. La decisione del Tribunale di Roma darebbe accesso a tutti coloro che volessero liberamente entrare in Italia dall’Egitto e dal Bangladesh, senza rischio di espulsione. Tutto questo fino al giugno 2026, quando entrerà in vigore una normativa UE che chiuderà le porte ad ogni ulteriore interpretazione. Ma i possibili entranti, ad ora, sono circa 260 milioni di persone. Mentre il governo italiano cerca di facilitare e velocizzare le procedure di rimpatrio verso Paesi sicuri, i giudici hanno deciso di andare in direzione opposta, limitando di fatto le espulsioni e tentando il sabotaggio dell’azione politica.



Questa decisione si basa sull’interpretazione, che parecchi giuristi non condividono, di una recente sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, secondo la quale un paese può essere considerato sicuro solo se non ci sono persecuzioni, torture, o pericoli generalizzati, una condizione che, secondo i giudici romani, né l’Egitto né il Bangladesh soddisfano visto che alcune zone di questi paesi hanno problemi di ordine e sicurezza. Quindi i due Paesi non sono sicuri. Ma in questi termini nessun Paese è sicuro, neanche il nostro. Basta leggere i giornali. E mentre era ancora calda questa polemica, la sinistra italiana faceva un all in che si rivelava un colossale bluff, una sonora legnata politica per i progressisti nostrani. A Strasburgo infatti è stata respinta la richiesta, presentata dal gruppo dei verdi e sostenuta da liberali, socialisti e Sinistra Ue, di aggiungere al calendario della plenaria un dibattito sulle “conseguenze della sentenza del tribunale di Roma in merito all’accordo tra Italia e Albania”. L’intento neanche tanto velato era quello di mettere sotto accusa e di screditare il trattato sui migranti attivo tra Italia e Albania. Contro la proposta delle sinistre hanno votato i deputati del Ppe, i conservatori di Ecr, i Patrioti ed il gruppo dei sovranisti di Esn. Richiesta respinta con 319 voti, 164 favorevoli e un solo astenuto.



Anche nel recente summit europeo i 27 hanno chiesto politiche migratorie per facilitare, aumentare e velocizzare i rimpatri dall’Unione Europea. È stata chiara inoltre la volontà di esplorare orizzonti nuovi per contrastare l’immigrazione irregolare, anche in riferimento al modello Albania presentato dall’Italia, un piano portato come esempio di contrasto al traffico di esseri umani e di deterrenza. I leader europei si sono confrontati sulla questione, in particolare l’Olanda che sta pensando ad un accordo con l’Uganda e la Danimarca col Kosovo. La Meloni ha anche organizzato una riunione informale a cui hanno partecipato, oltre ai citati, anche Austria, Cipro, Grecia, Malta, Repubblica Ceca, Polonia, Slovacchia e Ungheria. Altri leader tra cui il francese Macron e lo spagnolo Sanchez ne hanno preso le distanze, mentre per il tedesco Scholz “è ora che il sistema comune europeo di asilo venga attuato più rapidamente. Se facciamo progressi in termini di efficienza, ad esempio per quanto riguarda la direttiva sui rimpatri, e se tutti noi osserviamo insieme le regole che abbiamo, faremo molti passi in avanti”.



In ogni caso, è chiaro che il quadro politico rispetto alla questione migratoria è mutato e che il comportamento di numerosi leader dell’Unione dimostra inequivocabilmente lo spostamento a destra dell’equilibrio politico sancito dal voto europeo di giugno. Dopo la discussa decisione del tribunale di Roma il governo ha fatto ricorso contro la sentenza anti-espulsioni e approvato un decreto-legge che aggiorna l’elenco dei Paesi di origine sicuri. Il decreto è stato firmato mercoledì scorso dal Presidente Mattarella. Tale decreto in primis chiarisce il quadro normativo in attesa della legislazione europea del 2026; definisce per legge la lista dei Paesi sicuri impedendo la disapplicazione della norma da parte del giudice e impone per l’espulsione una sentenza collegiale appellabile in Corte di appello in tempi contingentati e senza sospensione feriale. Ovviamente non è finita. Perché ieri il Tribunale di Bologna ha rinviato alla Corte di Giustizia europea il caso di un cittadino del Bangladesh che aveva richiesto la protezione internazionale; chiedendo, dunque, se debba prevalere la normativa comunitaria o il decreto-legge del governo.

Deve essere chiaro che la difesa dei confini non è un principio negoziabile ed è superiore al diritto europeo. L’art. 52 della Costituzione non ammette deroghe, neanche da Bruxelles. Figuriamoci da parte di qualche magistrato.

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