Da una parte la nuova legge inglese sul trasferimento in Rwanda dei richiedenti asilo. Dall’altra il protocollo Italia-Albania per l’istituzione di centri nel Paese balcanico in cui decidere se i migranti potranno entrare o meno nel territorio italiano. Due proposte “innovative” nel settore immigrazione destinate a dover fare i conti con la giustizia. Con le nuove norme appena approvate, i richiedenti asilo in Gran Bretagna verranno portati in Rwanda, dove si deciderà se accogliere le loro istanze. Se sarà così, l’asilo lo otterranno proprio nel Paese africano, con cui gli inglesi hanno stretto un accordo.



Ma per superare molti degli ostacoli legati al controverso meccanismo, il governo di Sunak ha fatto approvare un’altra legge in cui si afferma che il Rwanda è un Paese sicuro e che le norme inglesi non possono essere inficiate dal diritto internazionale. Una circostanza, spiega Alessia Di Pascale, docente di diritto dell’Unione Europea nell’Università statale di Milano, esperta di problemi migratori, che ha fatto preannunciare da più parti ricorsi giurisdizionali a tutti i livelli.



La stessa cosa potrebbe succedere per il Protocollo Italia-Albania: avviata l’attività dei centri per i migranti, è ragionevole aspettarsi la proposizione di ricorsi contro un’intesa suscettibile di violare i diritti quanto al non respingimento, alla difesa e ad altro ancora. Una querelle che potrebbe arrivare davanti alla Corte costituzionale italiana e alla Corte europea dei diritti dell’uomo.

Come si è arrivati alla legge inglese sul Rwanda?

Nell’aprile 2022 era stato sottoscritto un memorandum d’intesa con il Rwanda che prevedeva il trasferimento nel Paese africano di tutti i migranti entrati nel Regno Unito dopo il 1° gennaio 2022 “attraverso una rotta illegale e pericolosa” e senza diritto di soggiorno, con il trattamento delle domande di asilo in Rwanda. Il primo tentativo di trasferimento di sei-sette persone fu bloccato in via cautelare dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Questo ha dato origine a un lungo contenzioso davanti ai tribunali inglesi. Se in primo grado la High Court si era pronunciata per la legittimità della procedura, prima la Corte d’appello e nel novembre 2023 la Corte suprema del Regno Unito hanno stabilito che il trasferimento è illegittimo, ritenendo il Rwanda un Paese non sicuro, per l’inadeguatezza del sistema di asilo e il rischio di violazione del principio di non respingimento: il memorandum con il Rwanda non prevedeva che i migranti non potessero essere trasferiti o rimpatriati, rischio invece concreto, come aveva dimostrato un’intesa simile intervenuta nel 2013 (ed attuata fino al 2018) fra il Paese africano e Israele.



Come è riuscito il governo inglese a uscire da questa impasse?

A dicembre il primo ministro ha stipulato un nuovo accordo internazionale con il Rwanda, in cui ha corretto alcune criticità rilevate dalla Corte suprema, prevedendo in particolare che il Rwanda, una volta accertato che non sussiste il diritto di asilo, non possa rimpatriare le persone o respingerle verso altri Paesi (se non eventualmente nel Regno Unito). Contemporaneamente, il governo ha presentato un disegno di legge (la “legge sulla sicurezza del Rwanda”) in cui si afferma che il Paese africano deve ritenersi sicuro, vietando a qualsiasi corte o tribunale la revisione o l’appello di una decisione nella misura in cui la richiesta di riesame sia fondata su questa circostanza. Alle autorità giudiziarie inglesi si proibisce di prendere in considerazione motivi di gravame fondati sul rischio di respingimento o sull’inadeguatezza del locale sistema di asilo. Il riesame del trasferimento dovrà dunque basarsi solo su “prove convincenti relative specificamente alla situazione individuale della persona”. Questo ha sollevato disappunto, ravvisandosi un problema di separazione tra poteri statali: il potere legislativo vincola lo scrutinio del giudice, sottraendogli significativamente lo spazio di giudizio.

Ma Sunak, e con lui il parlamento, si è spinto oltre, arrivando a far prevalere la legge inglese sul diritto internazionale. Con quali conseguenze?

Nella legge si afferma che il diritto internazionale non può prevalere sugli atti del parlamento britannico. L’articolo 1 comma 4 stabilisce che: “riconosciuto che il parlamento del Regno Unito è sovrano, la validità di una legge non può essere inficiata dal diritto internazionale”. Al comma 6 specifica che per diritto internazionale si intende: “la Convenzione sui diritti umani, la Convenzione di Ginevra sui rifugiati, il Patto sui diritti civili e politici del ’66, la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, la Convenzione del Consiglio d’Europa contro il traffico degli esseri umani, il diritto internazionale consuetudinario e ogni altra norma internazionale inclusa qualsiasi ordinanza, sentenza, decisione o misura della Corte europea dei diritti dell’uomo”.

In pratica una legge per arrogarsi il diritto di fare quello che vogliono?

Il diritto internazionale si inserisce in un ordinamento che non può essere unilateralmente derogato: i giuristi inglesi hanno già affermato che presenteranno una serie di ricorsi in tutte le sedi competenti, compresa la Corte europea dei diritti dell’uomo. Una vicenda che al di là dell’impatto effettivo sull’immigrazione è estremamente rilevante dal punto di vista proprio del diritto internazionale.

Quali sono le differenze fra la legge inglese che prevede i trasferimenti in Rwanda e il protocollo Italia-Albania per la creazione di due centri a Shengjin e Gjader per l’identificazione e il vaglio della posizione dei migranti che vogliono entrare in Italia?

I due sistemi hanno una somiglianza nella finalità, che è quella di attuare il controllo e il contenimento dei flussi che arrivano irregolarmente attraverso meccanismi di esternalizzazione, con l’obiettivo di disincentivare gli arrivi. Una finalità di deterrenza dei flussi irregolari, principalmente via mare. Per la Gran Bretagna coloro che arrivano vengono immediatamente trasferiti in Rwanda, dove la loro richiesta di asilo verrà esaminata e decisa in base alla legislazione rwandese. Per l’Italia, invece, le persone soccorse da navi di autorità italiane in acque internazionali, per le quali deve essere accertata la sussistenza dei requisiti di ingresso, saranno portate con navi italiane in centri che mantengono la giurisdizione italiana, dove si faranno valutazioni per l’ingresso nel Paese, la protezione internazionale o il rimpatrio, applicandosi “in quanto compatibili” le norme italiane.

Anche il protocollo Italia-Albania rischia di dover affrontare ricorsi all’autorità giudiziaria?

Il protocollo è nella fase attuativa: a gennaio la Corte costituzionale albanese non ha rilevato la sussistenza di profili che ne impediscono la ratifica, e le leggi di ratifica del protocollo sono state approvate sia in Italia sia in Albania lo scorso febbraio. A marzo il ministero dell’Interno ha pubblicato i bandi per l’affidamento della gestione dei centri. Inizia la fase di attuazione. Allora potrebbero essere promosse azioni legali dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Ma essendo applicabile la legge italiana, lo stesso succederà con i Tribunali nazionali. Eventualmente la questione potrà arrivare fino alla Corte costituzionale italiana.

Su quali aspetti in particolare potranno essere presentati i ricorsi?

Come anche nella legge inglese, ci sono profili di compatibilità con articoli della Convenzione EDU, relativi in particolare al principio di non respingimento e al divieto di espulsioni collettive. Per quanto riguarda i profili di carattere costituzionale, sono state poste in luce criticità attinenti al principio di uguaglianza, per la differenza di trattamento tra chi riuscirà ad arrivare in Italia e chi sarà invece trattenuto ed esaminato in Albania. Altri aspetti attengono alle garanzie sancite dall’articolo 10 della Costituzione italiana, sul diritto di asilo, visto che alle persone non è consentito arrivare in Italia per presentare la domanda, all’art. 13 in relazione alle modalità di limitazione della libertà personale. Altro nodo da sciogliere poi è il diritto di difesa.

Qualche giudice, insomma, sicuramente verrà chiamato a pronunciarsi?

Il giorno stesso in cui si è diffusa la notizia dell’approvazione della legge, più di 250 organizzazioni britanniche hanno scritto a Sunak promettendo di opporsi alle misure nei tribunali europei e britannici. Nel Regno Unito già sono stati preannunciati ricorsi, quindi. Mi aspetto che succederà anche in Italia.

(Paolo Rossetti)

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI