Doppio schiaffo alle Ong dalla terza sezione del Tar del Lazio, che ha bocciato il ricorso di Emergency contro la scelta del ministro dell’Interno di dirottare la nave “Life Support” a Brindisi. La onlus fondata da Gino Strada ad aprile si era rivolta ai giudici amministrativi per chiedere l’annullamento del provvedimento con cui, lo scorso 7 marzo, le autorità italiane avevano indicato il porto di Brindisi come “luogo di sbarco” per i 105 migranti a bordo della nave Life Support, battente bandiera panamense e noleggiata dalla società benefit milanese Prua Rossa srl. La vicenda risale al 28 febbraio scorso, quando la Life Support prese il largo dal porto di Augusta, in Sicilia, per la sua terza missione nel Mediterraneo. Nella notte tra il 6 e il 7 marzo, la nave di Emergency, dopo una segnalazione di Alarm Phone, soccorse un gommone di 12 metri con 105 migranti a bordo.
Il 7 marzo il comando generale delle Capitanerie di porto assegnò come punto di sbarco il porto di Brindisi. Per la Ong quella destinazione era “disagevole da raggiungere e contrastante con la normativa internazionale di riferimento“. Per questo motivo è stato presentato il ricorso al Tar, che con un’ordinanza del 14 luglio ha dato torto a Emergency. Il ricorso è stato giudicato “irricevibile“, ma anche se non lo fosse stato, il ricorso della Ong Emergency sarebbe stato comunque bollato come “infondato nel merito“.
DOPPIO SCHIAFFO DEL TAR DEL LAZIO A EMERGENCY
Una sconfitta totale per le Ong. In primis, perché il Tar del Lazio considera legittimo il rifiuto delle autorità italiane (Capitanerie di porto, Viminale e ministero delle Infrastrutture) di opporre il rifiuto alla richiesta di accesso agli atti da parte di Emergency. Infatti, la Ong aveva chiesto di visionare ed estrarre la copia integrale dei documenti alla base della scelta di Brindisi come porto di sbarco. Il messaggio dell’ordinanza del Tar, 12 pagine redatte dal presidente Giuseppe Sapone e dai giudici Massimiliano Scalise e Chiara Cavallari, è chiaro. La scelta di Brindisi era insindacabile.
La pubblicazione degli atti non si pone, perché le “valutazioni” del ministero dell’Interno vanno considerate alla luce della “unitaria attività di pattugliamento e soccorso in mare“. La scelta del porto sicuro risente, dunque, delle “delicate implicazioni di carattere militare, di polizia, di ordine pubblico interno e di politica migratoria” che non sono disponibili. I giudici evidenziano che in gioco ci sono “posizioni, oltre che interessi, di politica estera del governo“, nonché “scelte e azioni di carattere politico, al cospetto delle quali il diritto di conoscere ai arresta“. Per i ricorrenti resta il pagamento delle spese legali.